Di Laura Serafini per Il Sole 24 Ore
Il negoziato tra le banche creditrici di Alitalia volge verso il termine. Ma nel frattempo un nuovo scoglio si frappone alla chiusura della partita con la firma dei rappresentati degli istituti di credito. Uno scoglio che ha un nome e un cognome: Poste Italiane. La questione è relativa alla sottoscrizione di un «equity committment», cioè di un impegno a mettere mano al portafoglio in caso di sopravvenienza di oneri derivanti da precedenti contenziosi o di perdite nel 2014 superiori al budget di inizio anno, che Etihad ha chiesto agli azionisti che resteranno nel capitale della vecchia Alitalia.
Si tratta di almeno 200-300 milioni, che potrebbero lievitare in base al rosso che avrà a fine anno la compagnia. Il vettore arabo non è interessato a sapere chi firmerà quell’impegno, basta che ci sia qualcuno che tirerà fuori quei soldi per impedire che l’azionista di maggioranza della nuova compagnia aerea – ovvero la vecchia Alitalia – possa fallire.
È partita così la conta tra i soci del vettore tricolore per capire chi firmerà: le banche, Intesa Sanpaolo e UniCredit, sono pronte a fare la loro parte, così come probabilmente Roberto Colaninno e Atlantia.
Le Poste di Francesco Caio no. Il manager, nominato a fine aprile, lo aveva fatto capire nel comunicato diffuso al termine del cda il primo luglio. Ma nell’incontro convocato ieri a Milano tra il vertice di Alitalia, le banche e i rappresentati del governo (tra cui il capo della segreteria tecnica del Tesoro, Fabrizio Pagani), la questione è riemersa in tutta la sua deflagranza: le banche hanno condiviso le soluzioni individuate per gestire i 2.251 esuberi e hanno persino trovato il punto di equilibrio per chiudere l’accordo sulla ristrutturazione di 560 milioni di debito.
Hanno però messo come condizione alla loro adesione all’operazione il fatto che anche le Poste firmino l’equity committment: alla società guidata da Caio avrebbero dato 24 ore di tempo per rispondere. In caso di un ulteriore no, gli istituti di credito hanno dichiarato di volersi sfilare dall’operazione con Etihad.
In verità tutta questa faccenda ha aspetti un po’ surreali: non è interesse di nessuno dei vecchi soci, nè delle banche creditrici far sfumare il matrimonio. Perchè le perdite per tutti sarebbero molto maggiori. Sembra piuttosto un modo di mostrare i muscoli per portare a casa qualche vantaggio.
Qualche maligno fa notare che le Poste proprio in queste settimane hanno chiesto una revisione delle regole per la gestione del servizio universale in modo da ottenere maggiori contributi dal Tesoro. All’uscita dall’incontro di ieri – cui hanno partecipato anche l’ad di Alitalia Gabriele Del Torchio e di Intesa Carlo Messina – l’ad di Unicredit Federico Ghizzoni ha affermato che l’accordo sul debito è stato raggiunto.
«Tra le banche siamo a posto, c’è accordo unanime», ha detto a proposito dell’intesa sul debito. La ristrutturazione del debito per 560 milioni in base alle richieste di Etihad dovrebbe prevedere la cancellazione di un terzo e per il resto la conversione in capitale. Due delle quattro banche creditrici – Mps e Popolare di Sondrio – erano ferme nella richiesta di prevedere un diverso trattamento per il factoring. E avevano chiesto un riscadenzamento dei pagamenti piuttosto che il write-off.