Di Gaetano Pedullà
Al Governo c’è chi spaccia i giochi di prestigio per miracoli. Perché solo un miracolo poteva convincere gli arabi che vogliono investire in Alitalia a rinunciare ai duemila licenziamenti previsti dal loro piano. Ieri invece è arrivata la lieta novella: i 2.251 esuberi si erano ridotti a 980. Bravi Governo, azienda e sindacati a far cambiare idea agli emiri? Macché! Duecentocinquanta avranno contratti di solidarietà, un migliaio sarà ricollocato in altre aziende – ma nessuno per ora sa dire quali – e i 980 avranno l’80 per cento dello stipendio assicurato per quattro anni. Il miracolo così si scopre essere un gioco di prestigio, e nemmeno dei migliori.
Il conto infatti alla fine non lo pagano né gli azionisti di Alitalia né gli acquirenti arabi, perché a metterci i soldi come al solito è Pantalone. O se preferite, tutti noi, con le nostre tasse. C’è da scommetterci che a Bruxelles non la prenderanno bene, perché soluzioni di questo tipo si vede da lontano che sono aiuti di Stato. Soprattutto se dovesse finire che i lavoratori fatti transitare in altre aziende arrivino in società pubbliche come le Poste Italiane. Nel sentiero stretto che divide l’accordo con Etihad dal fallimento di Alitalia, l’intera operazione è ormai delineata chiaramente per quello che è: una svendita. Alitalia continuerà a volare, ma il ministro dei Trasporti Lupi farebbe meglio a parlare meno di questa trattativa come di un grande successo, Dalle banche azioniste che ci rimetteranno centinaia di milioni ai lavoratori, che continueranno a scendere, sino all’aeroporto di Malpensa che sarà svuotato, la salvezza di Alitalia a questi prezzi ci farà tenere in alto la bandiera. Dietro il tricolore però resta davvero ben poco.