Del Fatto Quotidiano
Nel 2013 e nei primi sei mesi del 2014 sono decisamente aumentate le segnalazioni di operazioni sospette alla Uif, l’Unità di informazione finanziaria istituita in maniera autonoma presso la Banca d’Italia. E’ quanto si legge nel rapporto sul 2013 secondo cui l’importo complessivo segnalato lo scorso anno è di 84 miliardi di euro. E dove si sottolinea come tra le operazioni finanziarie sospette “numerosi casi di segnalazione e di analisi hanno riguardato il riciclaggio dei proventi di reati lesivi di interessi pubblici o ascrivibili a persone politicamente esposte“. L’Uif riferisce in particolare che “sono stati rilevati utilizzi distorti dei finanziamenti pubblici, inadempienze nell’applicazione della disciplina sulla tracciabilità dei flussi finanziari nel settore dei contratti pubblici, appropriazioni indebite di fondi di pertinenza di partiti politici, situazioni corruttive”.
A sostenere la prassi, la finanza creativa che viene utilizzata per mascherare la corruzione. Per dissimulare l’identità degli effettivi titolari, infatti, viene fatto ricorso “a strumenti di investimenti innovativi, a mandati fiduciari e a catene societarie complesse” con propaggini internazionali e utilizzo di trust.Tanto che la Uif parla di “contrastare una possibile zona grigia di operatori disponibili a rendersi strumento del riciclaggio. La collaborazione attiva impone una scelta di campo tra rifiuto del riciclaggio e disponibilità alla connivenza, esclude la possibilità per gli operatori di preferire non vedere o non sapere”.
Un tema che riguarda anche gli uffici pubblici, il cui apporto in termini di segnalazioni è non a caso infinitesimale. La stragrande maggioranza (85%) delle notifiche di operazioni sospette alla Uif arrivano infatti dalle banche, solo il 4% dai professionisti, mentre il “contributo potenzialmente rilevante” degli uffici della pubblica amministrazione ”è pressoché nullo”. A tal proposito nel rapporto si legge come “sono stati avviati contatti con il ministero dell’Interno per definire gli ambiti di attività pubblica per i quali è opportuno fornire indicatori di anomalia e istruzioni per le modalità di segnalazione”. Invece per quanto riguarda i professionisti ”la scarsa collaborazione di queste categorie è una criticità presente in molti altri Paesi, con numeri di segnalazioni trasmesse anche inferiori a quelli dell’Italia. Essa va contrastata, oltre che con l’intensificazione dei controlli, favorendo un approccio che anteponga la sostanza alla forma nell’applicazione delle previsioni normative e rafforzando i presidi a tutela della riservatezza“.
Ma non sono solo gli uffici pubblici a non collaborare. C’è anche il legislatore. Le attuali norme italiane, lamenta il direttore della Uif, Claudio Clemente, chiedendo una riforma, “in contrasto con gli standard internazionali e comunitari non prevedono l’accesso della stessa unità ai dati investigativi e giudiziari“. Inoltre sul piano della normativa nazionale, aggiunge Clemente, ”particolarmente vivo è il dibattito sulla punibilità dell’autoriciclaggio. L’irrilevanza penale della fattispecie anche se non incide sul sistema di prevenzione, condiziona negativamente l’efficacia complessiva del sistema di contrasto”. Per il direttore della Uif, infine “ulteriori esigenze di revisione riguardano le sanzioni penali e amministrative da commisurare maggiormente alla natura e alla gravità delle violazioni per renderle proporzionate, effettive e dissuasive”.
Per quanto riguarda il ruolo dei politici, Clemente ha invece ricordato come per individuare i fenomeni di corruzione le norme di vigilanza bancarie permettono “presidi rafforzati di adeguata verifica per chi occupa o ha ricoperto importanti cariche pubbliche pure in ambito nazionale”. Quindi occorre “fare leva sulla corretta analisi dei profili soggettivi” facilitata dalle normative. Anche perché per individuare in maniera fondata la corruzione difficilmente sono emersi “elementi oggettivi” mentre si sono rilevati “elementi soggettivi di anomalia come la sproporzione tra il tenore di vita e il reddito del soggetto potenzialmente corrotto”.
I numeri, in ogni caso, parlano per ora di circa 600 segnalazioni nel 2013 per sospetti sulla corretta destinazione dei finanziamenti pubblici. “In alcuni casi sono stati evidenziati dubbi in merito alla corretta applicazione della disciplina sulla tracciabilità dei flussi finanziari nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture” nonché sulle “sproporzioni tra il tenore di vita e il reddito ufficiale del soggetto potenzialmente corrotto”. Inoltre, si legge ancora nel rapporto, “nell’anno hanno assunto particolare rilievo vicende concernenti la presunta appropriazione indebita di fondi di pertinenza dei partiti politici e il loro successivo reimpiego in investimenti di natura immobiliare o altre unità”.
Una goccia, in ogni caso, nell’oceano delle oltre 92.000 segnalazioni (+54% sul 2012) che lo scorso anno sono state analizzate e trasmesse agli organi investigativi. Nel sottolineare che “la qualità delle segnalazioni è migliorata sensibilmente”, Clemente ha osservato che in media ”oltre il 50% delle segnalazioni trasmesse è stato ritenuto meritevole di accertamenti investigativi, di tali approfondimenti circa la metà si è conclusa con riferimenti in sede processuale”. Per quanto riguarda il 2014, i dati del primo semestre parlano di oltre 38.000 segnalazioni con un incremento del 23% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Numeri che lasciano ben sperare. “Negli ultimi anni le segnalazioni di operazioni sospette sono aumentate in misura esponenziale passando dalle 12.500 del 2007 alle circa 65.000 del 2012 e 2013; il trend di crescita risulta ulteriormente rafforzato nell’anno in corso”, ha sottolineato Clemente aggiungendo che “elevati sono anche gli importi complessivamente segnalati: nel 2013 circa 84 miliardi di euro. Attualmente l’Italia è tra i Paesi europei con i più elevati livelli di collaborazione attiva”.
Ma non basta. “In un Paese che presenta radicati problemi di legalità come l’Italia i risultati finora conseguiti non possono tuttavia essere considerati un traguardo finale ma una solida base su cui costruire un ulteriore consolidamento del sistema di prevenzione e contrasto”. L’obiettivo è appunto “contrastare una possibile zona grigia di operatori disponibili a rendersi strumento del riciclaggio”.
Da un punto di vista geografico la Lombardia – come gli scorsi anni – è stata la Regione da cui è pervenuto il maggior numero di segnalazioni (11.575, pari al 17,9% del totale), seguita da Lazio (9.188, pari al 14,2%) e Campania (7.174, pari all’11,1%). Nonostante queste tre Regioni concentrino il 43,2% del totale segnalato, il loro peso percentuale è risultato in calo nel confronto con il 2012 (-1,3 punti percentuali). Si è accresciuto, invece, il peso di altre Regioni – Basilicata, Calabria, Molise, Puglia, Friuli Venezia Giulia – che hanno evidenziato un aumento significativo delle segnalazioni. “Con riferimento alla forma tecnica delle transazioni segnalate non si riscontrano novità significative rispetto a quanto rilevato negli anni precedenti – si legge nel rapporto – Nelle segnalazioni di operazioni sospette ricevute nel 2013 sono complessivamente dettagliate 183.632 operazioni, tra queste si rilevano 56.496 operazioni in contante (pari al 30,8% del totale) e 55.309 operazioni di bonifico”.
Rispetto al 2012, poi, sono quasi raddoppiate a oltre 2mila le segnalazioni riconducibili all’usura. Un andamento connesso anche alla crisi economica e finanziaria che “ha reso più permeabile il tessuto sociale a infiltrazioni di tipo criminale”. Significativo, poi, il numero delle segnalazioni sulle frodi informatiche, circa 1.700 derivanti da furto di identità su internet”. La Uif ha poi in corso approfondimenti sul potenziale di rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo del bitcoin, anche in considerazione di alcune segnalazioni di operazioni sospette ricevute con riguardo ad anomale compravendite, realizzate per mezzo di carte di pagamento o in contante con controparti estere. “Le operazioni in Bitcoin, pur registrate in appositi database consultabili in rete – si legge nel rapporto – non consentono di identificare i soggetti intervenuti nelle transazioni, facilitando così lo scambio di fondi in forma anonima e l’utilizzo di tale strumento di pagamento nel contesto dell’economia illegale”. Senza contare i rischi connessi all’utilizzo della moneta virtuale in sé. “Il valore del bitcoin – si legge ancora – è estremamente volatile ed espone gli utilizzatori a significativi rischi di speculazione. Inoltre, non risulta vi siano garanzie o forme di controllo che tutelino i clienti o le società che gestiscono bitcoin dal rischio di indebite appropriazioni (ad esempio furto informatico o hackering)”.