Di Lapo Mazzei
Dopo rottamare e correre, il nuovo verbo renziano è smussare e mediare. Cambiano i tempi, si adeguano i verbi. Soprattutto se l’alter ego non è Pier Luigi Bersani, che è tornato ad attaccare il premier, ma Frau Merkel. “Non c’è nessuna polemica tra noi e il governo tedesco sulla flessibilità”, afferma il presidente del Consiglio convinto di poter convincere anche coloro che, forte dei fatti, vedono nubi in arrivo da Berlino. E per rendere ancora più chiaro il messaggio il premier ricorda a tutti che “insieme dobbiamo condividere le regole che ci siamo dati che prevedono stabilità e crescita”. Già, tutto procede a corrente alternata, ormai. Ma avendo appena incontrato il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, che altro può dire Renzi? Difficile pensare ad una strategia d’attacco con il controllore al fianco. E così quello che è stato il primo appuntamento ufficiale del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea, Renzi lo ha usato per puntualizzare i termini del presunto scontro tra il governo italiano e i falchi tedeschi sul rigore dei conti pubblici.
Scontro con la Bundesbank
“Il rapporto con la Merkel è ottimo”, ribadisce con un mantra il presidente del Consiglio, “ho molto apprezzato la presa di posizione del governo tedesco di queste ore. La Bundesbank deve assicurare il proprio obiettivo statutario e non partecipare al dibattito politico italiano. Quando la Bundesbank ha il desiderio di parlare con noi è la benvenuta, partendo dal presupposto che l’Europa è dei cittadini europei, non dei banchieri né tedeschi né italiani”. La flessibilità, insiste Renzi, “non la chiede l’Italia, serve all’Europa, non all’Italia. All’Italia serve il processo di riforme che abbiamo iniziato”. E ancora: “Senza stabilità non c’è crescita e senza crescita non c’è stabilità. Se si parla solo di stabilità distruggiamo il futuro”. Ammettiamolo, a tratti Renzi sembra la sibilla cumana, tanta è la capacità di dire tutto e il suo esatto contrario nel ristretto giro di un valzer di parole. Allora può essere che la parola chiave del momento sia “collaborazione”. Ovvero dare una mano alla Merkel affinchè non sia troppo severa con l’Italia. Soprattutto sul lato delle riforme, per la cui buona riuscita Renzi confida molto nel semestre europeo: “L’Italia deve essere più semplice: se diventa più semplice diventa più forte”, dice Renzi inanellando un altro valzerino, sicuro linguistico. E l’appoggio di Barroso: “Il piano di riforme dell’Italia è in linea con le raccomandazioni emerse dalla Commissione europea, ma anche se non ci fosse l’Ue sono certo che l’Italia abbia bisogno di riforme. Non è l’Ue a imporre qualcosa. Le riforma strutturali vanno fatte, sono fondamentali”, ha specificato il commissario uscente – è un buon indicatore della pista da seguire. Renzi, anche colto l’occasione per annunciare, proprio sul piano dei cambiamenti istituzionali, un progetto a medio termine: “di 1000 giorni (1/settembre 2014- 28 maggio 2017), ha spiegato, in questo periodo l’Italia vedrà un grande restyling complessivo con un percorso di riforme del sistema fiscale, giudiziario, della P.a., della costituzione, della legge elettorale, dell’Italia intesa come macchina amministrativa”.
Fiducia nel governo
Solo marketing e distintivo, soprattutto nei confronti della Germania, oppure visione strategica? In parte l’una e l’altra cosa, anche se le fondamenta del sostegno al premier solo più che mai solide. La fiducia nel governo e nel premier, infatti tiene, anche se l’agenda delle riforme (elettorali e costituzionali), su cui il premier sta investendo tutte le energie, non è percepita prioritaria se non dal 4% degli elettori, che invece sono concentrati sull’emergenza lavoro (61%). Il taglio dei costi della politica, invece, è avvertito come urgente dal 15%.