di Nicoletta Appignani
Non è solo Azouz, padre e marito di due delle vittime della strage di Erba, a credere che Olindo e Rosa non abbiano nulla a che vedere con quel massacro. Un team di esperti, tra i quali i criminologi Gianfranco Marullo e Francesco Bruno, si è già messo all’opera per ottenere la revisione del processo. Secondo loro infatti è impossibile che a commettere la strage sia stata la coppia. «Ci sono molti elementi che non tornano nella ricostruzione» spiega Marullo, docente di criminologia alla Sapienza, che elenca i lati oscuri di questa vicenda. A cominciare dalla cronologia dell’assalto a casa Castagna.
I tempi e il sangue
Venti minuti per commettere quattro delitti ed un tentato omicidio ed appiccare un incendio. Poi lavarsi, cambiarsi e scappare in altri venti minuti al massimo. Ma sgattaiolando fuori di casa come ombre, invisibili alla folla che nel frattempo si è radunata di sotto e ai soccorritori sulle scale. Per di più facendo sparire i vestiti e le armi del delitto, mai ritrovate né identificate dall’autopsia. Tutto questo senza lasciare neanche una traccia.
«Se i Romano fossero scappati in auto, senza che nessuno li vedesse – spiega il docente – almeno il volante, il sedile, il cambio, la maniglia, avrebbero trattenuto un po’ di quel sangue». Invece no. L’unica traccia che viene rinvenuta è sul poggiapiedi, 15 giorni dopo la strage, il 26 dicembre. Si tratta di una delle prove a carico: una macchia piccolissima. Ma la macchina era già stata analizzata più volte, compresa la notte degli omicidi, e nulla era mai emerso prima di quel giorno. Il sangue tuttavia, la notte dell’11 dicembre, era dappertutto: l’acqua dei vigili del fuoco lo aveva sparso ovunque, anche nel cortile, dove camminò tantissima gente, imputati compresi. Certo è che diverse persone entrarono nell’auto per ispezionarla e installare gli strumenti per le intercettazioni ambientali prima di quell’ultimo accertamento. Proprio grazie a questo elemento considerato dall’accusa una prova schiacciante però Olindo fu convinto a confessare.
La confessione
Proprio la confessione di Olindo è stata al centro delle polemiche durante il processo. Nelle registrazioni si sente un carabiniere spiegargli che in caso di ammissione del crimine, la pena sarebbe stata di pochissimi anni, per di più in cella con Rosa, che sarebbe stata rilasciata al più presto. Non solo, nelle intercettazioni ambientali dal carcere Rosa in lacrime si rivolge al marito in questo modo: “Olli, ma noi… Perché dobbiamo dire che siamo stati noi? Non abbiamo fatto niente”.
Olindo in ogni caso confessa: una versione, la sua, talmente piena di inesattezze macroscopiche che è costretto varie volte ad “aggiustarla”. Quando poi il pm legge la prima ricostruzione a Rosa, analfabeta e perciò impossibilitata a farlo lei stessa, la donna conferma immediatamente ma il suo avvocato la interrompe “No, questa non è la versione vera”. Quella infatti era soltanto la prima dichiarazione di Olindo, completamente inattendibile. Quella definitiva doveva ancora essere letta.
«Questo è il problema – spiega Marullo – i Romano sono stati condannati più per quello che hanno “liberamente” dichiarato che per una vera e propria responsabilità accertata. Ma per arrivare ad una confessione che almeno avesse una corrispondenza con gli eventi c’è voluto moltissimo tempo. Durante il processo Olindo ha anche ritrattato, ma la Corte si è basata esclusivamente sulle prime deposizioni».
Il testimone
C’è poi la questione di Mario Frigerio, che nel massacro perde la moglie Valeria Cherubini e viene ferito a sua volta. L’uomo il 15 dicembre, pochi giorni dopo la strage, fornisce l’identikit di chi lo ha aggredito: carnagione olivastra, occhi scuri, capelli neri corti, senza baffi, dotato di molta forza. Dichiara di non averlo mai visto prima, che non si tratta di qualcuno di quelle zone.
«Ovviamente non è possibile pensare a Olindo – spiega il professor Marullo – Non è chiaro se l’identikit sia mai stato confrontato con altri sospetti ma non ne hanno avuto bisogno: Frigerio ha cambiato versione dopo una decina di giorni, dicendo che l’aggressore è Olindo Romano».
I dubbi
Sulla scena del crimine i Ris trovano delle orme di scarpe e un’impronta digitale. Entrambe non verranno mai identificate. Non solo. Secondo i criminologi, chi ha ucciso Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, Paola Galli e Valeria Cherubini sapeva molto bene ciò che stava facendo.
«Gli adulti sono stati colpiti alla testa e finiti con un colpo alla gola. La tecnica è precisa: un colpo alla carotide netto. Da “sgozzamento”. Obiettivamente troppo per due persone semplici come i coniugi Romano» conclude il professor Marullo.
Un’operazione quasi militare insomma. Ma c’è dell’altro. In precedenza la luce in casa Castagna era stata staccata. Un vicino che abitava sotto di loro racconta ai carabinieri di aver sentito dei passi leggeri verso le 18:30, orario in cui nell’abitazione non avrebbe dovuto esserci nessuno. Gli assassini erano già all’interno dell’appartamento? Un altro testimone conferma la prima versione dei Romano: loro quella sera non erano in casa già dal tardo pomeriggio. Certo è che alle 21:30 la coppia era a cena a Como, come confermerà anche uno scontrino del Mc Donald’s. Un terzo vicino dichiara poi di aver visto, pochi minuti dopo la strage, tre extracomunitari parlare animatamente tra loro per poi allontanarsi.
Sono tutti questi motivi, questa serie infinita di incongruenze, che spinge adesso il lavoro del team verso la richiesta di revisione del processo. A quanto pare starebbero valutando alcuni nuovi indizi che dimostrerebbero senza dubbio l’innocenza di Olindo e Rosa.