di Leonardo Rafanelli
Ci sono voluti oltre dieci anni di trattative, ma alla fine c’è l’accordo: la Russia, che sul fronte del commercio di gas cercava un interlocutore alternativo all’Ue, lo ha trovato nella Cina comunista. Si può parlare di corsi e ricorsi della storia, o citare il vecchio detto “tra i due litiganti il terzo gode”, ma non c’è dubbio che la spinta finale all’intesa sia arrivata anche a causa delle tensioni provocate dalla crisi ucraina con le conseguenti sanzioni di Usa ed Europa. E così Zhou Jiping, capo della China National Petroleum Corporation (CNPC), e Alexei Miller, Ceo di Gazprom, hanno firmato un contratto che sarà operativo dal 2018 in poi, e che vale, fanno sapere dagli ambienti del colosso del gas russo, oltre 400 miliardi di dollari. Va detto, comunque, che nei giorni passati era circolata pure una cifra più precisa, ovvero 456 miliardi. L’intesa, siglata sotto lo sguardo di Vladimir Putin e Xi Jinping, è pensata sul lungo termine: 30 anni, in cui saranno forniti alla Cina 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Ma già da adesso la Cina ha reso nota l’intenzione di presentarsi come un mercato di dimensioni considerevoli e di arrivare a 186 miliardi di metri cubi acquistati, aumentando del 20% le importazioni per ridurre il peso dell’inquinamento da carbone. Si ridimensiona così il ruolo dell’Europa, che fino al 2013 era stata il primo cliente per il gas di Mosca, con 160 miliardi di metri cubi.
Lo sconto finale
Secondo alcune indiscrezioni, per accelerare la conclusione della decennale trattativa, Putin avrebbe addirittura abbassato il prezzo, che nei giorni scorsi oscillava tra i 350 e i 400 dollari per mille metri cubi. Come già accennato, la fretta del presidente russo si spiega anche tenendo presente lo scontro in atto che vede da una parte Mosca e dall’altra Kiev e l’Occidente. A seguito dell’intesa con la Cina, infatti, il peso delle sanzioni economiche americane ed europee si ridimensiona fortemente. È vero che la Russia dovrà attendere ancora quattro anni, ma dal 2018 in poi avrà a disposizione un allettante mercato, alternativo a quello del “vecchio continente”. E una parte dell’Europa, dall’altro lato, rischia pure di ritrovarsi senza gas dal 3 giugno. Gazprom ha infatti richiesto all’Ucraina il pagamento delle forniture appunto per il mese di giugno (1,66 miliardi di dollari) più il saldo del pregresso pari a 3,5 miliardi. Kiev non ci sta, e chiede inoltre che Mosca torni a praticare lo stesso prezzo di quando al potere c’era il filorusso Viktor Yanukovich, ovvero 265 dollari per mille metri cubi. D’altronde, va detto che la cifra pretesa da Gazprom a partire dal primo aprile scorso è pari a 485 dollari: la più alta chiesta dal colosso energetico. In ogni caso, se Kiev non paga il debito, Putin minaccia di chiudere i rubinetti, e la cosa non sarebbe senza conseguenze visto che l’Ue importa un quarto del gas dalla Russia e che la metà di esso passa proprio attraverso l’Ucraina. Una nuova “guerra energetica” che potrebbe colpire soprattutto Romania, Bulgaria, Ungheria, e parzialmente anche la Slovacchia.
Oltre il confine
Sembra invece che non ci siano più ostacoli per le forniture alla Cina, dopo la firma dell’accordo. Resta da sistemare solo una questione di carattere tecnico: la costruzione della condotta che porterà il gas dalla frontiera fino alla rete di Pechino. Mosca ha fatto la sua parte, e ha già completato “Siberian Pipeline”, il gasdotto che arriva al confine cinese. Ora si dovrà costruire il tratto rimanente: un’ulteriore spesa che oscilla tra i 22 e i 30 miliardi di dollari.
Mentre le intese si concludono, tuttavia, c’è chi sostiene che la partita potrebbe non essere soltanto economica: alcuni osservatori non escludono che Putin chieda alla Cina un sostegno sulla questione dell’Ucraina. Pechino, però, ha già preso posizione dichiarando di rispettarne l’integrità: difficile, quindi, che su questo piano il presidente russo possa essere accontentato.