Può star simpatico o antipatico, potrà convincere o meno, ma Renzi è l’unico futuro possibile per il Pd, o di ciò che di quel partito resterà.
La maggioranza di quanti hanno partecipato alle primarie del centrosinistra ha rifiutato la ricetta dell’outsider basata sulla rottamazione. Ma ora siamo in una fase diversa, nella quale l’unico risultato del voto davvero decifrabile è quello del rifiuto, netto e inequivocabile, che rende quella rottamazione cosa ormai fatta, da sinistra a destra. Bersani ha avuto ragione nel pretendere di avere la sua occasione, ma ha perso, e ci deve stare. Berlusconi ha avuto ragione nel ritenere di poter essere ancora determinante nella corsa elettorale, ma anche lui ha perso come Bersani, e altrettanto dovrà farsene una ragione.
Renzi dimostra, dai toni che ha usato nel corso delle sue ultime apparizioni, di essere convinto che questa legislatura sia morta nella culla e che non si riuscirà a metter su un governo stabile. E’ quindi già in campagna elettorale e l’insofferenza che i dirigenti del Pd dimostrano verso le sue esternazioni appare assolutamente fuori luogo.
Il sindaco di Firenze ha sbagliato per certi versi l’impostazione della sua campagna per le primarie, concentrandosi troppo sulla rottamazione piuttosto che sulla diffusione dei suoi tratti di diversità, ma dal giorno del risultato che lo ha lasciato in panchina non ha messo più un piede in fallo e una parola fuori posto.
Ha aspettato il giaguaro e i presunti smacchiatori sulla riva del fiume giusto: l’Arno, e non il Tevere dove pure con mille lusinghe hanno provato a trascinarlo. Ha respinto saggiamente tanto le promesse dei più svariati incarichi quanto le lusinghe di un popolo, trasversale quanto inaffidabile, che lo voleva alla testa di una scissione inutile.
Ora che tutti sono riusciti a perdere, tocca inevitabilmente e legittimamente a lui. C’è poco da fare.