dalla Redazione
Il ministro dell’interno, Angelino Alfano, ha annunciato a margine dell’assemblea Ncd che Marcello Dell’Utri si trova negli uffici della polizia libanese. “Dell’Utri – spiega Alfano rispondendo ad una domanda dell’ANSA – è stato rintracciato a Beirut dalla polizia libanese che ora è in contatto con la polizia italiana in ottemperanza con il mandato di cattura internazionale. E’ ora in corso una procedura che diventerà estradizionale”. Dell’Utri è stato arrestato stanotte in un lussuoso albergo di Beirut. Lo riferiscono all’ANSA fonti della polizia locale. L’ex senatore si trova ora negli uffici della polizia libanese nella capitale.
“E’ naturale e conseguente”: così il ministro dell’Interno Angelino Alfano risponde al cronista dell’ANSA che gli chiede se l’Italia chiederà l’estradizione dal Libano di Marcello Dell’Utri dopo la sua cattura.
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando firmerà a breve la richiesta di estradizione.
L’ex senatore Marcello Dell’Utri era ufficialmente latitante da due giorni, ma la notizia della sua fuga all’estero non aveva sorpreso più di tanto: sia perché non si tratta della prima volta; sia perché in una pausa del suo ventennale processo per concorso esterno in associazione mafiosa, giunto ormai alla vigilia dell’ennesimo vaglio da parte della Cassazione, dichiarò placidamente ai giornalisti che lui in politica era entrato solo per evitare l’arresto. Sbagliò allora chi pensò che Marcello Dell’Utri, “padre” di Publitalia e braccio destro di Silvio Berlusconi, stesse lanciando una provocazione. Chi lo conosceva sapeva che stava dicendo esattamente come erano andate le cose. Sapeva che l’ex bancario che fece fortuna al Nord, al quale la Dia non è riuscita a notificargli l’ordine di arresto emesso a suo carico dalla corte d’appello di Palermo, il rischio di finire in una cella non l’avrebbe mai corso. E di ciò in realtà una prova s’era già avuta a marzo del 2012 quando cercò di darsi alla macchia a pochi giorni dalla data in cui la Suprema Corte si sarebbe dovuta esprimere sulla prima condanna a 7 anni inflitta a Palermo.
Allora l’ex manager scelse come buen retiro l’assolata Santo Domingo che, si seppe poi, gli conferì cittadinanza e passaporto diplomatico. “Se sono pronto al carcere? Col cavolo, spero di non andarci. Pero’ psicologicamente sono pronto da una vita. Bisogna fare una borsa, metterci due libri, e te ne vai”, diceva qualche tempo fa.
Ora alla vigilia di una nuova pronuncia della Cassazione, chiamata a decidere sulla seconda sentenza d’appello che ha confermato la pena antica, l’ex senatore ha scelto il Libano. Ne era certa la Dia che l’ha localizzato grazie alle “celle” del telefonino, captato nel Paese arabo il 3 aprile. Lo dice un testimone che avrebbe volato accanto a lui su un Parigi-Beirut. Lo confermano le frasi confidate a un amico dal fratello gemello, Alberto, fin dal novembre scorso. “Il programma è quello di andarsene in Libano perché lì è una città dove Marcello ci starebbe bene perché lui c’è già stato la conosce, c’è un grande fermento culturale”, diceva seduto al tavolo di un ristorante romano. Da lontano l’imputato latitante fa sentire la sua voce guardandosi bene dal rivelare dove si trova.
“Non intendo sottrarmi al risultato processuale della prossima sentenza della Cassazione – dice tramite il suo legale – e trovandomi in condizioni di salute precaria, per cui tra l’altro ho subito qualche settimana fa un intervento di angioplastica, sto effettuando ulteriori esami e controlli”. Dell’Utri non risparmia poi critiche all'”aberrante” provvedimento di arresto disposto dalla corte. La stessa che a marzo del 2013, invece, gli aveva risparmiato le manette. Sì, perché un precedente c’è. Allora, quando la corte d’appello stava per decidere il processo, il pg chiese la misura cautelare in carcere invocando il pericolo di fuga. Ma i giudici la respinsero. Tutto diverso stavolta. Il 4 marzo il pg, sulla base di un rapporto della questura di Milano che metteva nero su bianco l’impossibilità di controllare l’imputato, in possesso di più passaporti diplomatici, e della intercettazione della conversazione del fratello, ricevuta dai pm romani, ha chiesto alla corte il divieto di espatrio. I giudici hanno detto no scrivendo che per i reati di mafia l’unica misura possibile è il carcere. E tra le righe hanno suggerito al pg di procedere con un’istanza di quel tipo. Ma la procura generale non l’ha fatto, ritenendo più consono un provvedimento più blando e ha impugnato la decisione della corte davanti al tribunale del riesame che ha rigettato il tutto ritenendo l’intercettazione del fratello dell’imputato inutilizzabile. In sede di riesame però Dell’Utri ha visto concretizzarsi il rischio di manette avendo avuto conoscenza delle intercettazioni. Solo l’8 aprile il pg ha chiesto l’arresto, disposto dal collegio proprio sulla base del pericolo di fuga e delle confidenze involontariamente svelate da Alberto Dell’Utri. Naturalmente, però, a casa dell’ex manager di lui non c’è traccia. Scattano a questo punto anche le ricerche internazionali: la corte d’appello di Palermo ha anche un mandato di arresto europeo, mentre l’Interpol è stato attivato, attraverso i canali previsti, per le ricerche negli altri Stati.
“Latitante? No, mio fratello non è un latitante. È un evaso. Perché negli ultimi 20 anni è stato come in carcere, dietro le sbarre di accuse assurde come quelle di connivenza mafiosa. Accuse lontane anni luce dalla sua mentalità”, “è perseguitato”. Lo afferma alla Stampa, il fratello gemello di Marcello Dell’Utri, Alberto. Contro di lui, sostiene, “non ci sono prove. Ci sono solo racconti di pentiti che hanno sentito altri pentiti di contatti tra mio fratello e ambienti mafiosi”. Sull’ allontanamento all’estero del fratello, Alberto Dell’Utri spiega: “Non è scappato, è andato in Libano per affari, per il commercio dei cedri. Poi ha avuto problemi di salute e quindi è stato costretto a rimanere fuori per curarsi”, ma se sia ancora in Libano “non lo so, era a Beirut fino a martedì 8 aprile, ultimo giorno in cui l’ho sentito”. E dice di non sapere se tornerà prima martedì prossimo: “a me, martedì scorso, ha detto di sì, che sarebbe tornato. Ma tanto non cambia niente, perché qualsiasi sia l’esito della sentenza gli hanno comunque rovinato la vita”. Alberto Dell’Utri sostiene quindi che suo fratello Marcello “al massimo è stato imprudente a portare Mangano ad Arcore: ma per questo potrebbe solo essere condannato per imprudenza”.