di Nicoletta Appignani
“Un giovane svantaggiato sotto tutti i profili: sociale, culturale, psichico, economico”. Non ha fatto giri di parole l’Avvocatura dello Stato di Trieste per giustificare un massacro. E consentire al Ministero degli interni di non risarcire adeguatamente la famiglia di Riccardo Rasman, un ragazzo la cui vita non vale quanto quella di un coetaneo, solo perché disabile.
Una vicenda tragica. Era il 26 ottobre del 2006 quando tre poliziotti, intervenuti su chiamata dei vicini, uccisero questo ragazzone di 34 anni in un appartamento dell’Ater di via Grego, le case popolari di Trieste. La sua colpa? Il giovane, un ex aviere che soffriva di disturbi psichici, era seminudo sul terrazzo e lanciava petardi dal balcone.
Fastidioso probabilmente. Magari anche folle, perché all’arrivo delle volanti si rifiutò di aprire la porta. Del resto aveva paura, Riccardo: era in cura al centro di igiene mentale e soffriva di manie di persecuzione. Forse rispose male, quando i poliziotti sfondarono la porta. Forse si dimenò. Ma come spiegare il seguito? Perché è morto?
Con mani e piedi legati. I medici dell’ambulanza chiamati per soccorrerlo lo trovano con le braccia ammanettate dietro la schiena, i piedi legati con il fil di ferro, un lago di sangue intorno, schizzi perfino sui muri. Qualcuno l’aveva picchiato con un bastone, qualcuno gli era salito sopra, per tenerlo fermo, e in quella posizione era rimasto. Ma troppo a lungo. Il referto del medico legale dell’epoca infatti parla chiaro: morte per sopravvenuta asfissia da posizione. E ora l’avv. De Filippi, legale della famiglia, ha fatto disporre una perizia perché si sospetta sia stato anche imbavagliato.
E dire che poco prima che la polizia arrivasse, Rasman aveva addirittura scritto un biglietto: “Mi sono calmato, non fatemi del male” e si sarebbe salvato se gli agenti si fossero resi conto che non respirava.
Era disabile, bastano venti mila euro. Per quella tragedia, che richiama alla mente casi come quelli di Aldrovandi o Cucchi, tre poliziotti sono stati condannati in via definitiva per omicidio colposo. Per il risarcimento in sede civile invece, la storia non è ancora finita. La causa è tuttora aperta e i familiari hanno ricevuto una provvisionale di appena 20 mila euro ciascuno. Un’elemosina, che ai genitori e alla sorella della vittima fa ancora più male leggendo il ricorso dell’Avvocatura dello Stato. “L’unica sua risorsa era l’immensa forza fisica, che ha portato alla reazione incontrollabile…”. E ancora: “la crisi respiratoria sarebbe stata “indotta- autoindotta da un soggetto fuori di sé e privo di qualunque consapevolezza in un episodio psicotico”. Non solo. Va escluso ogni danno patrimoniale perché “Rasman non produceva reddito alcuno”. Peccato che proprio quella sera stesse festeggiando per aver appena trovato lavoro. Frasi queste di cui la difesa ha chiesto il ritiro, se non altro per rispetto di una famiglia che dallo Stato e dal Ministero degli Interni non ha mai ricevuto neppure le scuse.