di Antonio Rossi
Tutto come previsto. Il parlamento europeo non molla sul suo presidente, Martin Schulz, accusato di nepotismo e possibile utilizzo a fini politici privati del budget di servizio. Ieri a Bruxelles è stato così chiesto conto al numero uno dell’assemblea della gestione della campagna elettorale, essendo tra l’altro il socialdemocratico tedesco candidato socialista alla guida della prossima Commissione europea.
L’iniziativa
In una risoluzione votata dalla plenaria, insieme all’avallo del bilancio 2012 del Parlamento, è stata chiesta “formalmente” a Schulz una separazione delle funzioni, per evitare che siano i contribuenti a pagare per le campagne elettorali di candidati capolista europei. Chieste poi informazioni dettagliate sulle modalità con le quali il presidente, che ricopre un incarico politicamente neutro, abbia tenuto distinta la sua gestione amministrativa dalla sua campagna di candidato di punta dei socialisti e democratici alle elezioni europee, con specifico riguardo al personale del suo Gabinetto e degli uffici esterni del Parlamento e ai costi di viaggio. Nel testo è stato infine scritto se lo stesso presidente non ritenga che “per molte di tali attività non si sia fatta distinzione fra i due ruoli”.
La seduta più difficile
Nella plenaria di ieri, del resto, all’ordine del giorno era stata messa l’analisi delle spese del Parlamento e delle altre istituzioni comunitarie relative al 2012, passaggio solitamente turbolento. A complicare le cose era poi intervenuta la raccomandazione inviata il 18 marzo scorso al Parlamento dalla commissione europarlamentare per il controllo sui bilanci, volta ad approvare le rendicontazioni per il 2012 di tutte le istituzioni europee e che per quanto riguarda proprio il Parlamento conteneva gli emendamenti presentati dalla europarlamentare conservatrice tedesca Ingeborg Grassle. Il primo di tali emendamenti sosteneva che cinque su 19 funzionari dello staff privato di Schulz sono stati destinati a incarichi di direttore generale o direttore del Parlamento di Bruxelles, nomine che Grassle ha definito politiche e incompatibili con lo status di dipendente pubblico. Ai posti di direttore generale, poi, destinati due funzionari di nazionalità tedesca e di fede socialista dichiarata: Markus Winkler e il proprio vice Herwig Kaiser. Winkler, specificava un secondo emendamento, sarebbe stato nominato direttore generale del dipartimento alla presidenza, una posizione in precedenza ricoperta dal vice segretario generale e a costo zero, creata proprio dalla riforma della burocrazia parlamentare targata Schulz. Un terzo emendamento, infine, chiedeva a Schulz di fare chiarezza sulle sue spese e soprattutto sulla separazione tra le spese necessarie all’incarico di presidente e quelle sostenute per la sua campagna elettorale.
Le prime reazioni
Alcuni parlamentari eurosocialisti avevano definito gli emendamenti di Ingeborg Grassle “una speculazione politica” e chiesto che venissero definiti “inammissibili”. Ma nel Parlamento europeo questa è una decisione che può prendere solo il presidente. E ieri è arrivata invece la pesante risoluzione.