di Stefano Sansonetti
Ormai lo scenario è sempre più chiaro. Il piano di rimborso dei debiti di Stato, lanciato da Matteo Renzi per venire incontro alle esigenze degli esausti fornitori della pubblica amministrazione, sta diventando soprattutto una battaglia per conquistarsi nuove fette di business. A tremare, in queste ore, è Farmafactoring, finanziaria costituita all’epoca da alcune aziende farmaceutiche proprio allo scopo di recuperare gli ingenti crediti sanitari vantati nei confronti dello Stato. La società, oggi controllata dai fondi del gruppo inglese Apax (lo stesso che è presente nel settore dei giochi e delle scommesse con una quota nel capitale di Sisal), in sostanza opera rilevando i crediti vantati dai fornitori nei confronti di Asl e ospedali. In assoluto si tratta di cifre vertiginose: circa la metà dei 90-100 miliardi di debiti di Stato verso le imprese sono da ricondurre alla sanità. Farmafactoring, ovviamente, non ha in gestione tutto questo volume. Ma si tratta del suo principale bacino di affari, adesso minacciato dalle banche. Per quale motivo? Semplice, perché con il disegno di legge sul rimborso dei debiti della Pa, le banche, assistite dalla garanzia dello Stato sull’acquisto di ogni tipo di credito, saranno invogliate a buttarsi anche nel settore della sanità. Insomma, una guerra potrebbe essere alle porte. E secondo quanto risulta a La Notizia ci si sta ampiamente preparando a questo tipo di esito.
La questione
Dalle parti di Apax, i proprietari inglesi di Farmafactoring, qualche nervosismo comincia a filtrare. In base agli ultimi dati disponibili, estratti dal bilancio 2012, la società vanta 4,3 miliardi di crediti amministrati. E al 31 dicembre dello stesso anno poteva disporre di ben 356 milioni di interessi di mora su crediti acquistati a titolo definitivo. L’esercizio si è chiuso con un utile di 56,4 milioni, in consistente aumento rispetto ai 40,2 milioni dell’anno precedente. Le cose, quindi, per il momento vanno bene. Adesso, però, è arrivato il piano Renzi di rimborso alle imprese fornitrici di circa 68 miliardi di debiti della pubblica amministrazione. Progetto ideato da Franco Bassanini, presidente di quella Cassa Depositi e Prestiti che nel meccanismo può intervenire come garante di ultima istanza. Nessuno ormai si nasconde che tutto il processo determina un bel vantaggio per le banche: da una parte gli istituti guadagnano comprando il credito a un valore inferiore a quello nominale, incassando il margine dall’amministrazione statale o dalla Cassa Depositi; dall’altra si mettono in pancia un credito sicuro, garantito dallo Stato, che peraltro fa fare una bella figura al bilancio (su questi punti vedi La Notizia del 14 marzo). La chiave di volta, quindi, è proprio la garanzia statale, la stessa che potrà spingere le banche a rilevare gli spinosi crediti sanitari (pagati in media con 312 giorni di ritardo). Rebus sic stantibus Farmafactoring rischia di subire l’assalto degli istituti di credito, chiamati con le massime garanzie dal piano Bassanini a partecipare al meccanismo.
La posizione
La società, contattata ieri da La Notizia, ha usato cautela. “Ammesso e non concesso che il testo del governo sia definitivo”, ha premesso Roberto Castiglioni, vice president operations di Farmafactoring, “ci sarà da operare su volumi molto elevati di debiti sanitari”. Come dire che il recinto all’interno del quale ci si muove è talmente ampio che ciascuno può continuare a inseguire i suoi bei margini. Il problema, però, c’è. “Da un punto di vista teorico le difficoltà ci possono stare”, ha continuato Castiglioni, “ma ormai Farmafactoring opera sui debiti di Stato tout court, il nostro orizzonte è sui 100 miliardi”. Nel frattempo, però, c’è chi nella società sta già ragionando di come concentrare l’attività sulla certificazione dei crediti. Il fatto è che l’assalto delle banche è dietro l’angolo.
Twitter: @SSansonetti