di Lapo Mazzei
Ok, d’accordo abbiamo scherzato. E sì perché Matteo Renzi e Enrico Letta, dopo che si erano tanto armati per affrontare la direzione del partito, son tornati al punto di partenza: c’eravamo tanto amati. E nonostante i dissensi e dissidi sempre latenti, i due continueranno a farlo anche nei prossimi mesi. Perché il Renzusconi, ovvero il primo governo a guida Renzi con la benedizione di Berlusconi, resta nel cassetto. Magari arriverà un Letta Bis. Magari ci sarà un rimpasto. Ma già questa è un’altra storia. La novella, o farsa dato il quadro generale, emersa dalla direzione del Pd, diventate ormai delle vere e proprie riunioni conviviali buone per dare in pasto alle tv un bel po’ d’immagini da spalmare nei Tg della sera, è che non si farà nulla. Almeno per ora. Certo, il presidente del Consiglio resta nella morsa della verifica. Ma nessuno vuol stringere troppo i morsetti della tenaglia. E se il tema è stato il convitato di pietra della direzione del Pd, aperta dalla relazione del segretario, non è detto che il convitato resti tale a lungo. In agenda, ufficialmente ci sono infatti tanto la riforma del Senato (che dovrà essere trasformato in Camera delle Regioni) quanto quella del Titolo V, ma sullo sfondo restano in realtà le sorti del governo: andare avanti con l’esecutivo Letta o mettere in campo una staffetta con il segretario Pd al fine di garantire stabilità alla legislatura e forza alle riforme? Dell’argomento, ad ogni modo, Renzi parla solo indirettamente e ci tiene a ostentare distacco, se non fastidio, per chi invece continua a battere su questo tasto: “Fiat ha fatto una doppia scelta”, sottolinea Renzi, “sede legale ad Amsterdam e sede fiscale a Londra: mi ha colpito che su questo tema si sia speso molto meno che del rimpasto e delle soglie della legge elettorale”. Poi aggiunge: “Considero ben poca cosa chiudere l’accordo solo sulla legge elettorale. Per l’importanza della sfida che abbiamo lanciato non sarebbe neppure un pareggio ma una sconfitta. Con molta franchezza”, insiste il segretario, “trovo discutibili alcune reazioni di queste ore e giorni per cui forti di alcuni sondaggi con l’Italicum vince Berlusconi. Le elezioni si vincono o si perdono se si prendono i voti non se si cambia sistema elettorale”. L’apparenza, si sa inganna.
Il cinico
E Renzi non ha affatto preso bene il valzer dei sondaggi, che lo danno sconfitto in caso di confronto elettorale con Berlusconi. Non a caso mette sul tavolo un ragionamento tutto che renziano: “Se si andasse alle elezioni con l’Italicum e un’alleanza Berlusconi-Bossi-Casini ci battesse”, avverte ancora il leader democratico, “il problema saremmo noi. Se dopo 20 anni la nostra capacità di prendere i voti è tale che basta che Casini vada si là e Bossi stia con Berlusconi per impaurirci, il problema ce l’abbiamo noi”. Se non è un grido d’allarme, gli assomiglia molto, e dimostra come le faccine belline delle piddine non stiano dando i risultati sperati. Altro che Renzi il bullo, qui arriva Matteo il freddo, il cinico, pronto a dare la colpa al partito dei suoi eventuali errori. Tanto che il discorso del segretario si fa più esplicito: “Se ci sono stati problemi” per il governo “non li ha mai posti il Pd, che non ha mai fatto mancare il suo appoggio in nessun passaggio rilevante. La nostra fiducia è sempre stata costante anche su temi su cui c’erano perplessità”. Quanto all’ipotesi rimpasto, Renzi ripete quanto detto nei giorni scorsi: “Il giudizio sul governo”, dice ancora il leader democratico, “sui ministri spetta innanzitutto al presidente del Consiglio: se ritiene che le cose vadano bene come stanno andando, che vada avanti. Se ritiene che ci siano dei cambiamenti da apporre, affronti il problema nelle sedi politiche e istituzionali, indichi quali e giochiamo a carte scoperte”. A ciascuno il suo ruolo. Ma l’appuntamento è fissato al 20 febbraio, quando nella nuova direzione del partito verrà affrontato il tema dell’esecutivo. Solo allora si decideranno eventuali cambiamenti sullo schema di governo. Due settimane di tempo per riflettere.
Letta galleggia
A prendere la parola in direzione, dopo Renzi, è stato proprio Letta. Di fronte ai problemi “non è possibile galleggiare”, afferma. “Non è possibile pensare di uscire galleggiando e tutto voglio tranne che questo”. Niente di nuovo si dirà. Ma Letta è questo, uno che prova a darsi il coraggio, sapendo non averlo.
E dovendo misurarsi con Renzi, più che con Berlusconi, tutto appare maledettamente complicato. Il Pd, prosegue il presidente del Consiglio, ha l’opportunità nel 2014 di portare l’Italia fuori dalla crisi sociale e di completare le riforme: opportunità che non vanno sprecate. “Se ci riusciamo”, assicura, “questa nostra comunità salva il Paese nei punti in cui è affondato e torna in contatto con il Paese. Se non riusciamo in questa complessa operazione, i problemi che hanno portato al voto di febbraio resteranno tutti lì”. Domanda? Ma tanto rumore per nulla è davvero necessario? E, soprattutto, a che serve il gioco degli amanti traditi? Difficile accettare questo stato dell’arte quando i numeri, che sono spietati, ribadiscono che non siamo affatto fuori dal tunnel della crisi. Figuriamoci all’inizio della ripresa. Le riforme vanno fatte “per bene, cioè di corsa”, dice ancora il premier. “Dobbiamo arrivare prima delle elezioni europee”. Perché quello sarà il punto di non ritorno. Per tutti.