di Alessandro Barcella
I “nuovi poveri”? Colpa della crisi che strangola le famiglie italiane. E se ci fosse anche lo “zampino” di un ente pubblico? E’ guerra in Regione Lombardia sul pacchetto di 56 prepensionamenti obbligati imposti, come colpo di coda di una Giunta uscente, dal Presidente Formigoni. La delibera è contenuta nella Legge regionale di Bilancio 2013, il cui articolo 4 genera una catena di situazioni tra l’increscioso e il dubbio. Cinquantasei lavoratori, di cui 7 dirigenti, vengono di fatto obbligati alla pensione, ma la maggior parte di questi è troppo giovane per andarvi. Parliamo infatti di persone che a stento raggiungono i 30 anni di contribuzione, e lontane dai 65 d’età. La Legge, che a quanto pare vale per tutti tranne che per il “Celeste”, parla chiaro: alla pensione d’anzianità il dipendente pubblico arriva dopo 40 anni di lavoro ( che si considerano maturati al raggiungimento dei 39 anni, 11 mesi e 16 giorni di servizio, anche se ormai oggi è prassi la quota dei 41). Dalle parti di Palazzo Lombardia la situazione è ben diversa: almeno 45 di quei 56 lavoratori non raggiungono il tetto fissato dalla normativa (6 con meno di 35 anni di lavoro, uno addirittura con appena 29 anni alle spalle). Nuovi poveri, dicevamo. Sì perché il pensionamento obbligato comporterà minori entrate, in modo significativo, nei bilanci di quelle famiglie.
Regione Lombardia, che con il testo dell’articolo 4 di fatto sconfessa la volontà dichiarata di mandare a riposo solo quanti avessero maturato i requisiti di legge, quasi ironizza: questi 56 percepiranno “un assegno di pensione pari almeno al doppio della cosiddetta ‘pensione sociale’” , godendo inoltre, grazie al ridotto introito, della “fortuna” di avere minori ritenute. Una fortuna che non è giudicata tale da questi forzati della pensione (che in categoria professionale B arrivavano ad una media di stipendio mensile di appena 1150 euro netti). Subito partono le lettere di opposizione alla delibera, con l’ avvio delle cause davanti al giudice del Lavoro di Milano e la richiesta di reintegro e risarcimento.
“In un momento in cui tanto si parla di compatibilità della spesa pensionistica, Regione Lombardia è andata anche ad incrementare inutilmente la spesa previdenziale”, spiega Mavì Gardella, Segretaria della Funzione Pubblica Cgil regionale, che assiste la lotta dei 56. Va ricordato tra l’altro che l’atto di Regione Lombardia è in contrasto con la normativa nazionale, perché legifera su materie che competono esclusivamente allo Stato.
Ma il danno si accompagna spesso alla beffa. Ed ecco allora che per 56 che escono (in sostanza un licenziamento mascherato, dicono i sindacati) 9 nuovi lavoratori entrano al Pirellone. Sono tutti dirigenti, persone non già in forza alla Regione ma “comandati” da altri enti pubblici. Non è dato al momento sapere chi siano questi fortunati, graziati agli ultimissimi secondi di recupero della partita dal Governatore in corsa verso Roma.