di Maria Luisa Di Simone
Quando un uomo dice alla sua cuoca che ha bisogno di ritrovare il “gusto delle cose semplici” vuol dire che è stanco dei cibi elaborati e dell’eccessiva “modernità” che lo circonda. Ma se l’uomo è un capo di Stato che ha fatto la storia del Novecento e la cuoca è una specie di pioniera dal carattere forte, a metà strada tra tradizione francese e contaminazioni internazionali, il messaggio che arriva va oltre i confini della buona tavola. “La cuoca del Presidente” di Christian Vincent (dal 7 marzo nelle nostre sale con Lucky Red) non è solo una commedia gastronomica ispirata alla storia vera di chi, per due anni, ha gestito la cucina privata di François Mitterrand. Dietro la carrellata di prelibatezze d’oltralpe che la protagonista, Hortense Laborie, prepara con passione e grande professionalità, c’è molto altro. C’è una sotterranea critica alla politica contemporanea e c’è nostalgia per un modo di governare che purtroppo, sembra dire il regista, non esiste più.
Liberamente tratto dal romanzo di Danièle Delpeuch, “Mes carnets de cuisine, du Périgord à l’Elysée”, il film comincia con Hortense (l’ottima Catherine Frot) che arriva in una base scientifica dell’Antartide dove è stata chiamata a cucinare. Grazie a una giornalista australiana, scopriamo come la donna venisse da un incarico ben più prestigioso presso le cucine private del Presidente della Repubblica. Ma perché Hortense ha lasciato Rue de Saint-Honoré per rifugiarsi in un luogo isolato? E perché non vuole assolutamente parlare del precedente lavoro? Il tempo di porci queste domande e torniamo indietro nel tempo: la telecamera si sposta sugli ambienti lussuosi della casa più famosa di Francia, incontriamo i funzionari di Palazzo e, quasi per caso, il Presidente Mitterrand. A interpretarlo non è un attore, ma lo scrittore e giornalista Jean D’Ormesson, amico di vari presidenti e Decano degli “Immortali” de l’Academie française. D’Ormesson ha poche scene e le sue battute sono brevi, eppure quel che dice lascia il segno.
Partiamo dalla figura di Mitterrand, l’ultimo Monarca socialista, per individuare la chiave di lettura più profonda del film, quella politica. Perché, come lo sceneggiatore Etienne Comar ha spiegato, “La cuoca del Presidente” è un lungometraggio “incentrato sia sul potere della cucina che sulla cucina del potere”. Così il capo di Stato spiega a Hortense cosa desidera mangiare: “Voglio piatti semplici, odio i piatti arzigogolati. Mi dia il meglio della Francia!”. E la donna, che non è uno chef blasonato ma una semplice cuoca del Périgord, fa arrivare a palazzo i migliori tartufi del Paese, prepara la torta Saint-Honoré con l’autentica ricetta della nonna e cucina il manzo in crosta più tenero della Francia. Quasi naturalmente e grazie al linguaggio universale dell’arte culinaria, Presidente e cuoca abbattono le barriere sociali e si ritrovano a discorrere uniti dalla stessa idea della Nazione, la cosiddetta “Grandeur” che in passato aveva unito Destra gollista e Sinistra socialista. Ma è possibile tornare ai sapori/ideali di un tempo? Hortense ci prova con tutta la passione e la caparbietà femminile di cui è capace (non dimentichiamo che è stata la prima donna a cucinare per un presidente!), Mitterrand pure ci prova ma gli intrighi di Palazzo vincono su tutto. La cuoca rassegna le dimissioni e quasi fugge ai confini del mondo (dove finalmente riceve la gratitudine che merita, altro tema del film), il Presidente termina di lì a poco il suo secondo settennato.
Commedia godibile e intelligente con un sottotesto morale estendibile a ciò che non è Francia (come non notare il contrasto tra la “semplicità sacra” del personaggio di Mitterrand e l’immagine tutt’altro che semplice dei nostri politici?), “La cuoca del Presidente” fa parte di quella vasta filmografia che mette in scena la cerimonia del cibo per raccontare gli altri appetiti. Vincent dirige con misura e sobrietà, preferendo gli sguardi e le battute di spirito alla critica aperta, la preparazione/descrizione di una pietanza alla celebrazione esplicita delle ricchezze francesi, e il risultato è un film ben recitato (bravi tutti gli interpreti, dalla protagonista Frot ai comprimari D’Ormesson, Hippolyte Girardot e Arthur Dupont), con un buon ritmo. I veri catalizzatori dell’attenzione rimangono in ogni modo i piatti e la cucina tradizionale di Francia, che giustamente è il principale orgoglio nazionale. Del resto, come diceva Montesquieu (e come ricorda Hortense al suo Presidente), “una salute conservata con una dieta troppo severa è una noiosa malattia”.