I salari italiani sono crollati. Gli stipendi dei lavoratori del nostro Paese sono ancora otto punti percentuali inferiori, in termini reali, rispetto a gennaio del 2021. In pratica, l’inflazione registrata tra pandemia e crisi ucraina è stata molto più alta della crescita degli importi in busta paga.
L’Istat certifica come l’aumento dei prezzi abbia polverizzato il potere d’acquisto degli italiani e le retribuzioni, in termini reali, sono state a marzo “ancora inferiori di circa l’8% rispetto a quelle di gennaio 2021”.
Non a caso sul tema è intervenuto anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sostenendo che proprio quella degli stipendi è la “grande questione per l’Italia” e denunciando che “tante famiglie non reggono il costo della vita”.
Quanto sono scesi davvero gli stipendi
Negli ultimi mesi si è più volte parlato di un recupero dei salari reali, ma in realtà questo fenomeno si è registrato principalmente grazie al calo dell’inflazione. E comunque questa crescita non è stata di certo sufficiente per recuperare il caro-prezzi degli scorsi anni. Nel periodo tra gennaio e marzo di quest’anno la retribuzione oraria media è cresciuta del 3,9% rispetto al 2024.
L’indice delle retribuzioni contrattuali è invece salito del 4% da marzo del 2024 a marzo del 2025. Ma rimane “ancora ampia” la perdita del potere d’acquisto del biennio 2022-2023, con la crisi inflattiva: “Per il totale economia, le retribuzioni contrattuali reali di marzo 2025 sono ancora inferiori di circa l’8% rispetto a quelle di gennaio 2021”.
Tra l’altro, come segnala la Bce, la spinta della crescita degli stipendi è già in frenata. E anche il rialzo del 4% degli stipendi, come sottolinea il presidente dell’Unione nazionale consumatori Massimiliano Dona, è solo “un’illusione ottica, dato che vi è sempre un ritardo di mesi tra l’adeguamento delle retribuzioni e l’andamento dell’indice dei prezzi al consumo”. Non a caso, Dona parla di un “gap a dir poco vergognoso”, chiedendo anche il ripristino della scala mobile.
Com’è cambiata la busta paga e per chi
La perdita del potere d’acquisto non è stata uguale, in questi anni, per tutti i settori. L’Istat, infatti, segnala come ci siano state perdite inferiori per alcuni comparti come l’agricoltura e l’industria. All’opposto, i settori in cui l’inflazione ha pesato di più rispetto agli stipendi sono quelli dei servizi privati e della pubblica amministrazione. E proprio la Pa, che dipende dallo Stato, dimostra come il problema dipenda anche dal governo, che tra contrattazioni ferme e poche risorse investite non permette ai suoi lavoratori di recuperare il potere d’acquisto.