Il nuovo Rapporto 2024-2025 di Amnesty International arriva come un atto d’accusa globale. Non una fotografia, ma una sentenza: il sistema dei diritti umani, forgiato nel dopoguerra tra le macerie dell’orrore, è oggi accerchiato da forze che puntano apertamente alla sua demolizione. Un’involuzione che non è frutto di scosse improvvise, ma il risultato di un’erosione lenta, sistematica e consapevole, che ora appare strutturale.
Italia: un Paese indifferente
Nel nostro paese, la normalizzazione della violazione dei diritti si è sedimentata dietro una cortina di distrazioni. Tortura e maltrattamenti nelle carceri sono riemersi con gravità preoccupante, mentre la sovrappopolazione penitenziaria si è accompagnata a condizioni di vita disumane. Il numero di suicidi tra le persone detenute ha raggiunto livelli record, segnando l’abisso in cui la dignità umana può precipitare quando diventa un tema residuale e dimenticato.
Nel frattempo, la violenza contro le donne rimane tragicamente diffusa: novantacinque donne uccise in episodi di violenza domestica solo nel 2024, molte delle quali per mano di partner o ex partner. E la definizione di stupro nel codice penale italiano resta ancorata a logiche superate, ignorando il principio cardine del consenso, come ammonito anche da organismi internazionali.
Il razzismo sistemico contro persone rom, migranti e comunità lgbti, spesso alimentato anche da figure istituzionali, continua a essere una piaga aperta. Sul fronte dei diritti migratori, l’Italia si è distinta per un tentativo grottesco: inviare richiedenti asilo salvati in mare verso l’Albania, eludendo i propri obblighi internazionali e costruendo una narrazione che criminalizza chi fugge da guerre e carestie.
Europa: disintegrazione dei valori
A livello europeo, il rapporto documenta la progressiva erosione delle libertà fondamentali. La guerra in Ucraina, con il suo carico incessante di crimini di guerra da parte della Russia, ha inasprito una tendenza generale al restringimento dello spazio civico. L’impunità per i crimini contro i civili si è consolidata, mentre legislazioni sempre più repressive hanno colpito il diritto di manifestare e di esprimersi liberamente, in particolare in Russia, Bielorussia e Georgia.
In Europa centrale, l’idea stessa di diritti umani viene ora trattata come un ostacolo. La libertà d’espressione è stata sacrificata sull’altare dei “valori tradizionali”, utilizzati per giustificare repressioni, discriminazioni di genere e violenze contro le persone lgbti. E il tentativo di mantenere in vita un sistema multilaterale credibile appare ogni giorno più fragile, mentre cresce il peso di governi autoritari anche nei paesi un tempo considerati baluardi della democrazia.
Stati Uniti: demolizione sistematica
Sul fronte atlantico, il secondo mandato di Donald Trump si è imposto come la consacrazione di una traiettoria già tracciata. La cancellazione dei diritti si accompagna a un attacco frontale contro le istituzioni internazionali. Gli Usa hanno usato il loro potere di veto al Consiglio di sicurezza per bloccare richieste di cessate il fuoco a Gaza, mostrando apertamente la volontà di subordinare il diritto internazionale agli interessi di politica interna.
L’amministrazione Trump ha accelerato una deriva razzista, patriarcale e isolazionista che, lungi dall’essere una rottura, è la naturale evoluzione di dieci anni di erosione dei diritti sociali, ambientali e civili. In questo contesto, anche l’impegno per contrastare la crisi climatica è stato deriso o sabotato, con effetti che rischiano di risultare irreversibili sulle generazioni future.
Medio Oriente e Africa del Nord
Nel 2024, Gaza è stata il teatro di un genocidio trasmesso in diretta. L’offensiva militare israeliana ha causato oltre 45.000 morti, mentre milioni di palestinesi venivano sfollati e privati di qualsiasi condizione di vita dignitosa. Il sostegno incondizionato di Washington, Berlino e altre capitali europee ha contribuito a trasformare la catastrofe umanitaria in un crimine su scala storica, senza che nessun serio meccanismo di responsabilità sia stato attivato.
Il quadro si completa con l’escalation dei conflitti in Libano, Siria, Yemen e Iran. Mentre gli apparati repressivi interni colpivano dissidenti e attivisti, la discriminazione sistemica in base all’origine, al genere o all’orientamento sessuale si consolidava come norma. I governi hanno risposto alle richieste di libertà con violenze, arresti arbitrari e sparizioni forzate, lasciando ai margini ogni parvenza di stato di diritto.
Africa Subsahariana: tragedia ignorata
Nell’Africa subsahariana, il 2024 è stato un anno di oblio globale. I conflitti armati in Sudan, Repubblica Democratica del Congo e Sahel hanno prodotto massacri di civili, violenze sessuali di massa e una crisi di sfollamento forzato senza precedenti. Le risposte regionali e internazionali, tuttavia, sono rimaste tragicamente inadeguate, con una comunità internazionale incapace di mobilitarsi anche davanti alle crisi più acute.
La crisi climatica, esasperata dall’inerzia dei paesi più ricchi, ha moltiplicato gli eventi estremi: siccità, alluvioni, carestie. In un contesto di povertà estrema e corruzione diffusa, le comunità locali sono state lasciate a morire senza che nessuno guardasse, confermando che il concetto di “solidarietà globale” è ormai ridotto a mera retorica nei consessi internazionali.
Asia e Pacifico: laboratorio della repressione
Dalla Cina all’Afghanistan, dal Myanmar all’India, la regione Asia-Pacifico si è confermata come uno dei laboratori più avanzati di controllo e repressione. La censura si è fatta totale, la sorveglianza capillare. Chi protesta, chi documenta, chi semplicemente osa raccontare una verità alternativa, rischia prigione, torture o morte. La criminalizzazione del dissenso si è accompagnata alla militarizzazione della vita quotidiana, imponendo un regime di paura capillare.
Eppure, anche in questo deserto di diritti, esistono resistenze: le mobilitazioni in Nepal, le lotte degli studenti in Bangladesh, gli attivisti filodemocratici in Hong Kong continuano a sfidare il buio, mostrando che il desiderio di giustizia non può essere estirpato nemmeno con la forza più brutale.
Americhe: democrazie svuotate
Nel continente americano, la violenza contro giornalisti, difensori dei diritti umani e popolazioni indigene ha confermato che anche le democrazie formali possono svuotarsi. Gli Stati Uniti non fanno eccezione: oltre alle derive federali, in vari stati sono cresciuti gli ostacoli al diritto di protesta e le discriminazioni razziali e di genere.
In America Latina, la sopravvivenza stessa degli spazi civici è diventata una questione di resistenza quotidiana. La criminalizzazione del dissenso si somma alla marginalizzazione sociale, mentre i popoli indigeni continuano a essere espropriati delle loro terre in nome di interessi estrattivi. I femminicidi, l’insicurezza alimentare e l’erosione dei diritti economici completano il quadro di una regione in cui la dignità umana è costantemente messa in discussione.
Un cambiamento d’epoca
Il Rapporto di Amnesty International non è soltanto una cronaca dell’orrore. È un monito: la fine dell’universalismo dei diritti non è una possibilità teorica, è una traiettoria già in corso. Se la risposta continuerà a essere l’indifferenza, non assisteremo semplicemente a un’altra fase storica. Saremo testimoni di un cambiamento d’epoca.
La sfida, ora, non è più salvare qualche brandello di diritto qua e là. È ripensare radicalmente il modo stesso in cui concepiamo l’umanità. Prima che sia troppo tardi.