Il festival dell’ipocrisia, chi dava a Papa Francesco del putiniano e dell’antisemita ora si finge bergogliano

Meloni celebra il Papa che ha sempre ignorato: migrazione, ambiente, povertà raccontano l'ipocrisia del suo governo

Il festival dell’ipocrisia, chi dava a Papa Francesco del putiniano e dell’antisemita ora si finge bergogliano

Visioni opposte di Stato e di mondo. Da una parte, Papa Francesco e il suo magistero universale, dall’altra Giorgia Meloni e il pragmatismo sovranista del governo italiano. L’una incarna la voce della coscienza globale, l’altro difende l’interesse nazionale. Le divergenze tra questi due poli emergono con forza nei grandi temi del nostro tempo: migrazione, ambiente, economia e giustizia sociale.

Migrazione: muri contro ponti

Nel Mediterraneo delle morti annunciate, Papa Francesco si erge a difensore della dignità umana, ammonendo contro la “cultura dei muri” e dello “scarto”. Le sue parole, radicate nell’enciclica Fratelli Tutti, non lasciano margini: accogliere, proteggere, promuovere e integrare sono verbi morali, non negoziabili. Il soccorso in mare non è una scelta politica, ma un imperativo etico. Al contrario, il governo Meloni erige confini e decreti: il “Decreto ONG” ostacola le operazioni di salvataggio, il “Decreto Cutro” inasprisce le norme dopo l’ennesima tragedia. La logica del controllo prevale sull’urgenza dell’accoglienza. L’accordo con l’Albania per esternalizzare i centri di detenzione è la sintesi perfetta di questo approccio: la sovranità prima della solidarietà. Laddove Francesco vede una “fraternità senza confini”, Meloni traccia linee invalicabili.

L’ipocrisia di questo governo emerge evidente quando, mentre rivendica le sue radici cristiane, ignora sistematicamente la voce di chi guida quella stessa Chiesa. La solidarietà, nella narrazione di Meloni, si trasforma in una minaccia all’ordine, in un alibi per rafforzare le frontiere. Le vite spezzate in mare sono ridotte a statistiche da gestire, a problemi logistici da scaricare oltre confine.

Ambiente: conversione ecologica contro tecnocrazia

Anche sul clima e sull’energia, le visioni si scontrano. Laudato Si’ non ammette compromessi: la crisi ecologica è una crisi morale e spirituale, la risposta deve essere radicale, integrale, sistemica. Non si tratta solo di tecnologie, ma di ripensare i modelli di produzione, consumo, potere. Il governo Meloni risponde con il lessico del pragmatismo: “neutralità tecnologica”, “ambientalismo conservatore”. Promuove il nucleare di nuova generazione, concede spazio al gas naturale, posticipa l’abbandono dei combustibili fossili. La transizione è subordinata alla competitività economica, alla sicurezza energetica, all’interesse nazionale. Francesco denuncia l’illusione tecnocratica, Meloni la abbraccia.

L’ipocrisia si fa manifesta anche qui. Mentre la presidente del Consiglio ostenta attenzione al tema ambientale, al contempo rivendica la centralità di soluzioni che perpetuano la dipendenza dai combustibili fossili. Le promesse di abbandono del carbone si perdono nei rinvii, mentre la spinta verso il nucleare si rivela una scorciatoia per non affrontare il nodo strutturale del modello di sviluppo.

L’economia, infine, segna un’altra faglia. Il Papa denuncia la “cultura dello scarto”, critica un sistema che valuta le persone in base alla loro produttività. Chiede un’economia al servizio della dignità umana, fondata sulla solidarietà, sulla giustizia sociale, sull’inclusione dei poveri. Il governo Meloni risponde con la riforma del welfare: abolito il Reddito di Cittadinanza, introdotti l’Assegno di Inclusione e il Supporto per la Formazione e il Lavoro. Una distinzione netta tra “occupabili” e “non occupabili”, con il sostegno vincolato alla partecipazione a percorsi di attivazione. La povertà diventa una questione di responsabilità individuale più che di giustizia sistemica.

Qui l’ipocrisia raggiunge il suo apice. Da un lato si proclama la centralità della famiglia e del lavoro, dall’altro si costruisce un sistema di welfare che abbandona i più fragili, trasformando l’assistenza in una concessione condizionata. Si premia chi è già in grado di correre, si lascia indietro chi inciampa. Il Papa parla di “terra, casa e lavoro” come diritti universali, il governo li rende privilegi da conquistare.

Su alcuni temi, come la gestazione per altri, le posizioni convergono. Entrambi condannano la pratica, per motivi che sembrano allinearsi: la difesa della dignità della donna e del bambino, il rifiuto della mercificazione della vita. Ma anche qui le radici sono diverse: per Francesco è una questione etica universale, per Meloni un tassello della narrazione sovranista sulla famiglia “naturale”. Quando il governo ostacola il riconoscimento dei figli nati da GPA all’estero, il Papa resta in silenzio, forse consapevole che il terreno dei diritti civili è un campo minato di differenze.

Così si delineano due visioni inconciliabili: l’universalismo etico contro il pragmatismo nazionalista, l’imperativo morale contro la gestione politica, la critica sistemica contro l’intervento mirato. Francesco parla al mondo, Meloni agli italiani. In questo divario si gioca una parte cruciale del futuro. Un futuro dove il governo si presenta come difensore della tradizione e dei valori, salvo poi contraddirli nei fatti, lasciando che il calcolo politico prevalga sull’etica proclamata. L’ipocrisia non è un dettaglio: è il segno distintivo di questa stagione politica.