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Massimo, i leoni da tastiera e l’umanità perduta

Il caso di Massimo, morto a 76 anni sul lavoro, dimostra che abbiamo perso l'umanità, anche di fronte alle morti bianche.

Massimo, i leoni da tastiera e l’umanità perduta

Si sa: la mamma degli haters è sempre incinta. Persino davanti a una vittima sul lavoro. Riavvolgiamo il nastro. Giovedì 10 aprile è morto Massimo Mirabelli, 76 anni, colpito da un infarto mentre scaricava la biancheria di un hotel in centro a Montecatini. L’uomo era al suo primo giorno di lavoro, in prova. Assunto con un contratto di un mese. “Mio padre ha passato tutta la vita ad andare avanti e indietro per mezza Italia a fare consegne. Poi è arrivato il tempo di andare in pensione. E dopo 40 anni di lavoro ha scoperto che quei soldi non gli bastavano per vivere senza pensieri” ha raccontato il figlio Federico, assessore ai Lavori pubblici e al Commercio del Comune di Livorno. Una storia come tante (purtroppo), con un finale tragico.

Ho pubblicato la notizia su Thread, il social media di Meta simile a X, dicendomi indignato per l’accaduto. Fra le 113 risposte arrivate – la stragrande maggioranza delle quali di solidarietà, va detto a scanso di equivoci – ce ne sono state alcune da far tremare i polsi. “Demagogia pura. Spiace per il signore ma se ha avuto un infarto praticamente subito è chiaro che stava poco bene prima. Il lavoro non c’entra” ha scritto un utente. Un altro: “Ma non rompete il ca***. Il figlio assessore, lavorava in nero, mi devo pure dispiacere?”. Ancora: “Alla sua età poteva evitare sforzi simili”. Infine: “Evidentemente ha pagato pochi contributi e non ha risparmiato niente”. Dietro a questi commenti non c’è solo l’ignoranza dei leoni da tastiera, ma una sorta di sindrome di Stoccolma che vede il colpevole nel lavoratore che ha perso la vita e non in un sistema marcio. Era già successo ai tempi del Reddito di cittadinanza quando, complice la grancassa mediatica e una certa classe imprenditoriale che considerava un sussidio da 500/600 euro al mese “concorrenziale al lavoro”, i poveri furono messi all’indice, additati come “fannulloni” pure da chi versava in condizioni non molto diverse da loro.

Ed è ciò che accade oggi negli Stati Uniti, dove a essere più penalizzati dai dazi di Donald Trump non sono i suoi amici miliardari ma gli americani meno abbienti, che alle elezioni del 5 novembre scorso lo hanno riportato nello Studio Ovale credendo alla favola dell’“uomo del popolo” che combatte le élite. Una colossale bufala. Due anni fa un dossier dell’Osservatorio Vox rilevò che le vittime “preferite” degli odiatori tecnologici sono proprio i più deboli. Fuori dal web le cose non vanno meglio. Interroghiamoci sul perché siamo arrivati a questo punto, perdendo l’umanità. Persino davanti a una vittima sul lavoro.