Nel silenzio sempre più compatto della politica di governo sul cambiamento climatico, i giovani italiani continuano a considerarlo una priorità assoluta. Lo conferma il nuovo report di Openpolis: il 46% delle persone tra i 16 e i 30 anni nel nostro Paese ritiene che il contrasto alla crisi climatica debba essere una delle tre principali priorità dell’Unione europea nei prossimi cinque anni. Una percentuale che stacca di 13 punti la media europea e che posiziona l’Italia, insieme alla Danimarca, in cima alla classifica continentale.
A livello europeo, il cambiamento climatico è indicato come priorità dal 33% dei giovani. Seguono la creazione di posti di lavoro (31%) e l’aumento dei prezzi (40%). In Italia, il dato è invertito: l’ambiente è la prima urgenza (46%), poi il lavoro (38%) e solo dopo il costo della vita (34%). Nessun altro Paese mostra un simile sbilanciamento verso la questione ecologica.
Questo nonostante il tema sia progressivamente scomparso dal discorso pubblico. Travolto da un’agenda costruita sulla sicurezza, sulle urgenze geopolitiche e sulle parole d’ordine del conservatorismo reazionario che, come nel caso Trump, ha fatto del negazionismo climatico uno strumento elettorale. In Italia, la transizione ecologica è stata ridotta a formula tecnica. Il cambiamento climatico non è più nemmeno citato.
Le scuole come barometro ambientale
Il report di Openpolis analizza l’ambiente scolastico come indicatore chiave. Le scuole sono i luoghi dove si forma la percezione del presente. In Italia, il 2,4% degli edifici scolastici statali si trova vicino a fonti di inquinamento atmosferico. Le criticità più forti si concentrano nelle grandi città: Roma, Napoli, Milano, Bari, Reggio Calabria, Livorno, Rimini, Forlì. Nei capoluoghi di provincia la probabilità di frequentare scuole esposte a inquinamento o difficili da raggiungere con mezzi pubblici è sette volte superiore rispetto ai piccoli comuni.
Degli oltre seimila comuni con almeno un edificio scolastico attivo, 65 presentano entrambe le criticità: inquinamento atmosferico e scarsa accessibilità con mezzi alternativi all’auto. In questi territori si concentra il paradosso: si parla di mobilità sostenibile, ma le scuole sono irraggiungibili senza auto; si dichiara attenzione alla salute, ma si lasciano le scuole vicino alle fonti più inquinanti.
La percezione ambientale nasce qui. Non nei convegni istituzionali, ma nel tragitto casa-scuola. La qualità dell’aria, l’affollamento dei mezzi, l’assenza di alternative: è in questi dettagli che la generazione più giovane riconosce le priorità. E in questo contesto matura una consapevolezza che il governo continua a non ascoltare.
Una frattura che cresce
Openpolis collega questa distanza tra giovani e politica a un’esposizione diretta al degrado ambientale. I dati dicono che dove l’ambiente è più compromesso, la sensibilità climatica cresce. E cresce anche l’idea che la risposta debba arrivare dalle istituzioni. Il dato del 46% non è un’impressione: è una costante che attraversa regioni, città, territori periferici. È l’effetto di una generazione che ha interiorizzato l’insicurezza climatica come dato strutturale.
Nel frattempo il clima sparisce dai programmi di governo, dai titoli di bilancio, dalle dichiarazioni ufficiali. La crisi ambientale viene declassata a costo collaterale, mentre si moltiplicano i richiami a modelli produttivi fossili, retoriche del progresso, crescita svincolata da ogni vincolo ecologico.
Lo scollamento è misurabile. Da una parte, una generazione che ha collocato il cambiamento climatico in cima alla lista delle emergenze. Dall’altra, una classe dirigente che ne ha smesso perfino di pronunciare il nome.