C’è un’ombra lunga, e questa volta non viene da Est. L’ombra è quella di Elon Musk che, mentre il governo rilancia le privatizzazioni nel Documento di economia e finanza, affina l’incursione nei gangli strategici della rete nazionale, a partire dallo spazio. Lo ha denunciato la senatrice Dolores Bevilacqua (M5S), ma la questione non è ancora entrata davvero nel dibattito pubblico. Forse perché è scritta tra le righe di un provvedimento tecnico, il ddl Spazio.
L’articolo che apre le porte a Starlink
Nel testo, attualmente in discussione al Senato, l’articolo 26 apre alla sperimentazione su frequenze radio essenziali per le telecomunicazioni satellitari. Sono le stesse che fanno gola a Starlink, la costellazione di satelliti di proprietà di Musk, già al centro di accordi con Open Fiber ed Eolo per l’utilizzo della banda a 28 GHz. Il nodo è che l’Italia, nel suo consueto balletto della deregulation, non ha ancora imposto una regolamentazione chiara, né a livello nazionale né europeo, su alcune bande ad alto potenziale, come la cosiddetta “banda E” (71-76 GHz e 81-86 GHz). Proprio qui si gioca la partita grossa. Perché la banda, oggi praticamente libera, potrebbe diventare una pista d’atterraggio per i satelliti di Musk, senza che lo Stato batta ciglio.
Secondo fonti di settore citate da Reuters, Starlink avrebbe già inoltrato una richiesta formale per ottenere accesso a questa fetta di spettro, mentre in Lombardia è in corso – sotto silenzio – una gara per la sperimentazione di comunicazioni satellitari 5G non terrestri (non-terrestrial networks, NTN), promossa da Infratel e finanziata dal Ministero delle imprese e del made in Italy. Si tratta di un bando pubblico, lanciato lo scorso febbraio, per testare tecnologie di connessione che integrano satelliti e reti mobili terrestri, con lo scopo dichiarato di estendere la copertura in aree remote. Una gara tecnica, con ricadute tutt’altro che tecniche. Tutto in sordina. Tutto in un silenzio complice.
L’articolo 25 del ddl richiama genericamente la “capacità trasmissiva nazionale”, ma non dice come questa vada tutelata. Intanto, FiberCop – controllata da Tim – solleva problemi di compatibilità tecnica con Starlink, mentre i fondi esteri che guidano la partita sulla rete unica continuano indisturbati a riorientare gli asset strategici italiani secondo logiche di profitto. Non è difficile capire dove si vuole arrivare: uno Stato che arretra, mentre soggetti privati e multinazionali avanzano su infrastrutture decisive per la sicurezza nazionale e l’autonomia tecnologica. Un copione già visto, ora aggiornato alla geopolitica dell’orbita bassa.
Privatizzazioni, dazi e diplomazia satellitare
Il Partito democratico ha proposto emendamenti al ddl per rendere più costoso l’utilizzo delle frequenze da parte di soggetti extra-Ue. Ma è troppo poco e troppo tardi. La finestra è già aperta, Musk è già dentro. In ballo non c’è solo l’accesso allo spettro radio: ci sono i gateway terrestri – come quelli detenuti da Rai Way – che rappresentano un tassello essenziale per completare il dominio satellitare. Sono stazioni a terra che collegano i satelliti alla rete Internet nazionale. Se finiscono in mano a soggetti privati stranieri, lo spazio diventerebbe un altro comparto strategico regalato in outsourcing.
A rendere ancora più inquietante lo scenario è il fatto che tutto questo si intreccia con la diplomazia parallela tra Meloni e Trump. Secondo Bevilacqua, la premier sarebbe pronta a concedere aperture a Musk e Starlink per guadagnare benevolenza oltreoceano, nella speranza di mitigare i dazi annunciati dal tycoon. Uno scambio diseguale che rischia di barattare un’infrastruttura nazionale con una promessa elettorale americana.
Il risultato è un Paese esposto, che invece di programmare il futuro delle sue telecomunicazioni, rincorre gli investitori più potenti sperando di attirarne le briciole. Il governo parla di “ambizioni sulle privatizzazioni”, ma quello che si vede è solo una ritirata dallo spazio strategico. Silenziosa, rapida e pericolosamente irreversibile.