Stefano Fassina, la sua partecipazione alla manifestazione organizzata dal M5S contro il riarmo si è fatta notare. Perché ha scelto quella piazza e non quella di Michele Serra, alla quale ha preso parte Elly Schlein segretaria del partito di cui per tanti anni è stato esponente?
“Perché la piazza del 5 Aprile, promossa dal M5S, aveva una piattaforma chiara e per quanto mi riguarda pienamente condivisibile: una radicale correzione di rotta per riportare l’Ue dalla deriva del warfare al welfare, a partire dalla costruzione di un negoziato tra Russia e Ucraina per porre fine alla guerra per procura senza pietire posti al tavolo apparecchiato da Trump. Invece, la piazza sollecitata da La Repubblica e Michele Serra invocava, attraverso la strumentalizzazione del Manifesto di Ventotene, un’Europa pericolosamente astratta in nome della quale potevano marciare insieme e hanno marciato insieme prospettive opposte, poi battezzate “popolo europeo” e associate da qualche editorialista disinvolto a sostegno di ReArm Europe. Per quale Europa si stava a Piazza del Popolo? L’Europa che smette di seguire a là carte il diritto internazionale e promuove un ordine multilaterale o l’Europa che continua a girarsi dall’altra parte di fronte alla cancellazione del popolo palestinese? L’Europa che discute di quante risorse per la difesa comune a valle di una strategia condivisa di politica internazionale o l’Europa che innalza la spesa in armamenti a prescindere? L’Europa che finalmente riconosce le conseguenze sociali e politiche dell’allargamento del 2004-7 e si ferma perché è già diventata “grande da morire” oppure l’Europa che va avanti a colpire il lavoro con l’ingresso di altri 9 Stati caratterizzati da salari di 300-400 euro al mese, fisco e welfare minimale? L’Europa che si fa carico della ricostruzione dell’Ucraina con una sorta di Piano Marshall o l’Europa che si espande ancora e aggrava il dumping fiscale e salariale verso lavoratrici, lavoratori e piccole imprese, in particolare della ‘vecchia Europa’?”
A proposito di armi, l’Italia intende rispettare le promesse fatte agli alleati della Nato al vertice di Newport, in Galles, nel 2014 e aumenterà la spesa per la Difesa fino a raggiungere il 2% rispetto al Pil. Questo rende più forte la posizione della Meloni nella trattativa con Trump sui dazi il prossimo 17 aprile? O, forse, (assieme all’acquisto di gas liquido) si tratta di un cedimento alle istanze di Trump?
“Temo si tratti del tentativo di arrivare a un compromesso con l’amministrazione Trump. Per riequilibrare l’enorme avanzo dell’Eurozona negli scambi di beni con gli Usa, già da gennaio scorso la presidente della Bce aveva proposto di comprare più armi e più gas da Washington. Ci siamo, purtroppo. La nostra presidente del Consiglio, con le sue truppe a Bruxelles, è componente organica della “maggioranza Ursula”. Alla Casa Bianca, porta una sciagurata linea comune che, oltre a esprimere debolezza e sudditanza, aggraverà la dipendenza politica degli Stati dell’Unione e aggraverà le condizioni della manifattura del continente”.
Intanto il piano europeo da 800 miliardi procede parallelamente a una demolizione del Green Deal che – stando alle parole del ministro Urso – avrebbe “soffocato l’industria europea” fino al punto che oggi se ne invoca la sospensione. Cosa ne pensa?
“Ritengo che il Green Deal, corretto per rafforzare le protezioni sociali per i settori più coinvolti e sostenere il potere d’acquisto delle famiglie, debba essere il terreno della strategia keynesiana da intraprendere. Ma l’Europa del warfare è incompatibile con l’Europa del Green Deal che è, in sostanza, la forma più compiuta di welfare”
Nello specifico, a soffrire maggiormente è il settore dell’automotive. La crisi di Stellantis ci consegna il dato peggiore da 70 anni, ovvero il crollo della produzione auto in Italia: -42,5% da inizio 2025. Soddisfacente l’intesa Governo – Stellantis sul Piano Italia?
“Non ci son intese, purtroppo. I vertici di Stellantis non sono credibili. Sono promesse per prendere tempo, l’obiettivo di entrambe le parti. L’unica strada per dare una prospettiva all’automotive è stata indicata dal progetto curato da Pasquale Tridico e presentato al Parlamento europeo e in una bella iniziativa il 21 marzo scorso a Torino. Si tratta, in sostanza, di un programma per l’automotive ispirato al programma Sure messo a punto durante la pandemia. Un fondo con una dotazione di almeno 100 miliardi di euro per finanziare prestiti agevolati agli Stati membri per il mantenimento e la riqualificazione dell’occupazione”.
Il nuovo documento di finanza pubblica conferma gli obiettivi del PSB su spesa netta, riduzione deficit e debito. Quindi va tutto bene?
“Il governo Meloni è riuscito a tenere sotto controllo il deficit pubblico grazie all’impennata dell’inflazione del biennio alle nostre spalle. L’aumento dei prezzi ha gonfiato il Pil, ma non si è riflesso sulla spesa pubblica. In sostanza, il Tesoro ha lasciato sostanzialmente invariati o poco aumentato le somme per Sanità, pensioni, scuola e retribuzioni dei lavori delle amministrazioni infliggendo tagli pesanti in termini reali con la mano invisibile dell’aumento dei prezzi. Gli obiettivi del PSB continuano a pagarli lavoratrici e lavoratori con l’ulteriore rattrappimento del welfare. I 6-7 miliardi di spese militari aggiuntive aggraveranno il quadro, con ben poche ricadute in termini di produzione italiana, dato che saranno prevalentemente importazioni dagli Usa”.
Da ultimo, Fassina, alla luce dei nuovi equilibri globali che stanno definendosi le chiederei un commento sull’invito del ministro Tajani a “non barattare l’amicizia con gli Usa per la Cina”. È davvero così, o oggi un accordo come la “Via della Seta” sarebbe stato utile?
“Il punto non è non barattare Usa e Cina. Il punto è trovare un’autonomia dell’Ue. Il pianeta unipolare post-89 non c’è più. La Storia è tornata e la Cina e i Brics ne sono protagonisti. Secondo il Fmi, nel 2025, l’economia cinese, a parità di potere d’acquisto, supera del 30% quella statunitense (19,3% del Pil globale rispetto al 14,8%). Nel 2030, la fetta di torta planetaria prodotta dallo Zio Sam scenderà al 12-13%, la stessa dimensione che acquisirà allora l’altro gigante in ascesa: l’India. Il Dragone, oltre a scalare la classifica della quantità, raggiunge anche la vetta della qualità. Nel 2021, la Cina ha depositato il 37,8% dei brevetti mondiali; gli Usa il 17,8%. Emblematico per i risvolti sistemici e sociali l’ambito dell’automotive: nel 2020, la Cina esportava circa un milione di vetture elettriche; a fine 2024 arrivava a oltre 6 milioni. L’Eurozona ha un deficit commerciale di oltre 100 miliardi all’anno con la Cina. La via della seta rimane un’opportunità. La prospettiva andava irrobustita, non ridimensionata. Ma bisogna fare attenzione. La Cina non è babbo Natale. Come gli Stati Uniti, persegue i suoi interessi nazionali. La cooperazione con Pechino deve avere come obiettivo non soltanto la resistenza agli atti unilaterali di Washington, ma il necessario, urgente, ri-orientamento della regolazione liberista e mercantilista globale ed europea verso la domanda interna delle rispettive aree economiche e la costruzione di un ordine multipolare su tutti i versanti: sicurezza, valute di riserva, istituzioni di Bretton Woods. L’opzione resistenziale sarebbe una sciagura per ogni angolo del pianeta perché gli Stati Uniti, con o senza Donald Trump al vertice, non possono più essere il consumatore di ultima istanza e il dollaro non può più svolgere la funzione globale svolta finora. Non è una fisima di The Donald “cane pazzo”. Sono i numeri”.