La Sveglia

Strumentalizzare Falcone, una bestemmia civile

C’è un confine tra la propaganda e la bestemmia civile. Forza Italia lo ha superato il 23 marzo 2025, al Politeama Garibaldi di Palermo, usando la voce di Giovanni Falcone come sottofondo al proprio convegno sulla giustizia. Un partito fondato da un pregiudicato, costruito da un condannato per concorso esterno, che si prende il lusso di evocare Falcone nel salotto dove si riabilita D’Alì e si cita Mangano come “eroe”.

Falcone parlava di codice penale, di riforme, di impegno. Parlava da magistrato che conosceva il peso delle parole. Ma chi lo cita oggi lo fa per spingere una riforma – la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri – che lo stesso Falcone temeva. In Cose di Cosa Nostra, nel 1991, spiegava che una tale separazione avrebbe indebolito la lotta alla mafia, spezzando l’unità della magistratura e rendendo più vulnerabile il lavoro delle procure alle pressioni esterne.

E mentre Forza Italia si commuove davanti alle sue frasi, ignora il proprio archivio giudiziario: Marcello Dell’Utri, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa; Antonio D’Alì, 6 anni, stessa imputazione; Amedeo Matacena, 3 anni per contiguità con la ’ndrangheta; Nicola Cosentino, 10 anni per concorso esterno con il clan dei Casalesi; Giancarlo Pittelli, 11 anni in primo grado per aver operato a favore della ’ndrangheta; Salvatore Ferrigno, 10 anni in primo grado per voto di scambio politico-mafioso.

Falcone non appartiene a un partito. Non può essere brandizzato. Non può essere usato come copertura da chi ha contribuito, anche solo per affinità, a rendere questo Paese meno giusto. Bisogna ricordarsi di ricordare, anche quando non conviene.