L’Europa vuole la guerra permanente ma Orbán si sfila e sul riarmo Meloni si esibisce nelle solite acrobazie

Meloni giocando sulle divergenze dei suoi colleghi europei può rinviare la resa dei conti nella maggioranza

L’Europa vuole la guerra permanente ma Orbán si sfila e sul riarmo Meloni si esibisce nelle solite acrobazie

Alla fine a liberare Giorgia Meloni dalle sue ambiguità, e da quelle dei suoi alleati  sul piano di riarmo di Ursula von der Leyen, ci hanno pensato, involontariamente, i suoi colleghi europei.

I 27 capi di Stato e di governo si sono ritrovati a Bruxelles per il Consiglio europeo: Ucraina, competitività, difesa, le questioni sul tavolo. Ma il piatto forte sicuramente era il piano sulla Difesa europea.

Ebbene le posizioni sul piano dei 27 sono diverse, a volte divergenti. Ecco perché il negoziato – al di là delle conclusioni formali del vertice  – non può che entrare nel vivo da oggi in poi. E in questo temporeggiare dei leader europei si inserisce Meloni che può rinviare, con le consuete acrobazie, la resa dei conti tra i suoi alleati sul piano di riarmo, tra i favorevoli (Forza Italia) e i contrari (Lega).

I 27 dicono sì al riarmo ma sugli strumenti per arrivarci rinviano a giugno

Nelle conclusioni i 27 invitano “ad accelerare i lavori su tutti i fronti per aumentare in modo decisivo la prontezza di difesa dell’Europa entro i prossimi cinque anni”.

I leader chiedono poi “al Consiglio e ai co-legislatori di portare avanti rapidamente i lavori sulle recenti proposte della Commissione” e ad “avviare con urgenza l’attuazione delle azioni individuate” nello scorso vertice del 6 marzo nel campo dei settori militari di principale interesse e a “proseguire sulle relative opzioni di finanziamento”.

Ed è una formulazione ampia per consentire alle capitali, come Roma, di rinviare la questione. La roadmap, infatti, prevede di chiudere al Consiglio europeo di giugno, fissato in calendario subito dopo il summit della Nato, dove gli alleati saranno chiamati ad aumentare i target di spesa, si parla di almeno il 3%.

Certo, tre mesi sono un orizzonte molto esteso e alcune tappe previste dal ReArm Europe (ad esempio l’attivazione delle deroghe al Patto di stabilità sulle spese in sicurezza) dovrebbero avvenire ben prima.

La realtà è che non c’è, al momento, una lista chiara di chi attiverà per certo la clausola e chi no, solo indizi (la Germania senz’altro, l’Olanda forse no, i Paesi ad alto debito come Italia e Francia devono ragionarci).

E poi il grande tema dei finanziamenti col derby tra favorevoli agli eurobond e i contrari. Ora non c’è nulla sul debito comune ma, si puntualizza, il piano sulla difesa presentato ai leader da Ursula von der Leyen è da intendersi come “un primo passo”. “Per l’Europa sono giorni decisivi”, ha detto, sempre, von der Leyen.

La premier gioca sulle divisioni tra i 27 per rinviare la resa dei conti nella sua maggioranza

La premier è arrivata a Bruxelles con una maggioranza spaccata. La Lega mercoledì ha detto che Meloni non aveva il mandato a votare il piano di riarmo a Bruxelles. E ieri il leader, ministro e vicepremier, Matteo Salvini ha continuato a battibeccare con il vicepremier e numero uno di Forza Italia, Antonio Tajani.

Sull’europeismo della premier, Tajani ha precisato di non avere dubbi. “Se fosse un governo anti-Ue non ne farei parte, le posizioni di Meloni sono pro-Europa”, ha sottolineato, spiegando, rispetto alla posizione della Lega, che la posizione di FI è “per l’esercito comune Ue”.

“Non sono d’accordo con Tajani sull’esercito europeo. L’esercito europeo oggi, a guida franco-tedesca, cosa fa, va in guerra?”, ha replicato Salvini.

Ha cercato di spegnere le polemiche il ministro di FdI, Guido Crosetto. “Il Consiglio europeo ha una ventina di argomenti, il mandato del presidente del Consiglio è totale, non c’è un ordine del giorno da votare. Ci sono decisioni da prendere, da condividere, ci sono percorsi da definire. E’ un incontro molto politico non tecnico”, ha detto il ministro della Difesa.

Meloni: molte risorse nel piano di riarmo ma molte sono virtuali

Nel piano von der Leyen, ha spiegato Meloni, “c’è una parte che riguarda il famoso progetto SAFE cioè i 150 miliardi di prestiti che si possono avere dall’Unione europea e c’è la quota stimata in 650 miliardi circa di quello che cuba l’aumento del deficit degli Stati nazionali rispetto al patto di stabilità. Per questo io ho detto che le risorse sembrano molte ma poi alla fine sono virtuali nel senso che è una stima che si fa su una scelta che comunque competerà agli Stati nazionali” e che riguarderà “anche noi una volta che saranno messi a disposizione gli strumenti”.

Nel frattempo si può continuare a navigare a vista e a temporeggiare, rinviando la resa dei conti.