In Italia il diritto allo studio non esiste: il destino educativo di un giovane è scritto nel reddito della famiglia. Secondo Istat, chi ha genitori laureati ha il 67,1% di probabilità di conseguire una laurea, mentre chi proviene da famiglie con un basso livello di istruzione si ferma al 12,8%. Il divario inizia già prima dell’università: il 23,9% dei figli di genitori con licenza media abbandona la scuola prima del diploma, un dato quindici volte superiore rispetto all’1,6% dei figli di laureati. Le politiche di sostegno sono un’illusione. Il contributo statale per i libri di testo e la borsa IoStudio – gli unici aiuti economici diretti – sono finanziati con appena 133 milioni e 40 milioni di euro all’anno, lo 0,008% del Pil.
Non esistono dati pubblici su quanti studenti ne beneficino realmente, segno che il sistema non è solo sottodimensionato, ma anche inefficace. I beneficiari devono affrontare iter burocratici infiniti e spesso rinunciano a causa della scarsa informazione e dei ritardi nei pagamenti. Eppure, nei paesi con un più alto tasso di laureati, i finanziamenti all’istruzione rappresentano almeno il 5% del Pil, segno di una scelta politica chiara: investire nel futuro o condannarlo alla precarietà. L’Italia è il penultimo paese in Europa per numero di laureati tra i giovani. Senza investimenti strutturali, resterà un paese in cui la scuola non è un diritto ma un privilegio, dove la dispersione scolastica – sia esplicita che implicita – continua a condannare intere generazioni a un futuro già deciso. Se il governo volesse davvero premiare il merito, dovrebbe iniziare garantendo pari opportunità, anziché lasciare che siano i conti in banca a decidere chi può studiare e chi no. Ma il merito, in Italia, è solo una favola buona per i discorsi elettorali.