C’è qualcosa di curioso nel modo in cui Giorgia Meloni riscrive il passato, soprattutto quando il presente la mette in difficoltà. Un tempo la presidente del Consiglio non lasciava spazio a interpretazioni: la vittoria dell’Ucraina era una certezza, anzi, una missione da compiere senza tentennamenti.
“L’Italia sarà al fianco dell’Ucraina fino alla vittoria”, dichiarava Meloni il 21 febbraio 2023 in una conferenza stampa a Kiev, accanto a Volodymyr Zelensky. Il 24 febbraio 2023, nel primo anniversario dell’invasione russa, ribadiva il concetto: “Non possiamo permettere che l’Ucraina perda questa guerra, la vittoria di Kyiv è fondamentale per la sicurezza europea”. Parole chiare, inequivocabili, che all’epoca servivano a rassicurare gli alleati e a consolidare la posizione dell’Italia nello scacchiere internazionale. Un impegno che non lasciava margini di ambiguità, rafforzato da dichiarazioni ufficiali e incontri bilaterali. Ma la politica ha memoria corta e la coerenza è spesso sacrificata sull’altare della convenienza.
Il passo indietro di Meloni
Ora, invece, Meloni frena, ridimensiona e perfino nega di aver mai parlato in quei termini. Lo ha rilevato con precisione l’analisi di Pagella Politica, che ha ripercorso le sue dichiarazioni per smontare il revisionismo in corso. In una recente intervista a Bruno Vespa del 10 marzo 2024, la premier ha affermato: “Non ho mai detto che Kiev avrebbe sconfitto Mosca, ho sempre parlato di sostegno, non di vittoria”. Salvo poi essere smentita dai fatti, dai video e dalle sue stesse parole.
La dinamica è la solita: negare l’evidenza, ribaltare la narrazione, affidarsi alla memoria corta del pubblico e alla disponibilità mediatica di certi canali nel diluire il problema. Non una strategia nuova, ma piuttosto una costante nella gestione del potere di Meloni. Sulla guerra in Ucraina, però, il gioco si complica: perché se un anno fa l’assoluta determinazione a sostenere Kievera funzionale alla costruzione di un profilo internazionale solido e coerente, oggi la realtà impone una strategia più ambigua.
A tutto questo si aggiunge la crescente pressione interna. Con un governo sempre più attento ai sondaggi e una parte della maggioranza che comincia a soffiare su posizioni meno nette, Meloni si trova a dover bilanciare la necessità di non scontentare gli alleati internazionali con quella di rassicurare una base elettorale che, tra crisi economica e stanchezza bellica, si mostra meno entusiasta del coinvolgimento italiano nella guerra.
Una strategia in bilico
La situazione sul campo di battaglia si è fatta meno netta, l’opinione pubblica europea è meno compatta nel sostegno incondizionato, il fronte interno italiano è agitato da una Lega sempre più insofferente verso le spese militari. E così, Meloni corregge il tiro: non si parla più di vittoria, ma di “non sconfitta”, si evita di esplicitare scenari di trionfo e si lascia spazio a una narrazione più sfumata, meno rischiosa.
Il tutto mentre cresce il pragmatismo nei vertici europei. Se Emmanuel Macron e Olaf Scholz mantengono una linea di sostegno netto a Kyiv, con qualche distinguo e qualche tensione, altri paesi iniziano a prendere le distanze da un impegno illimitato. E in Italia la posizione del governo si fa più traballante: i dubbi si moltiplicano, le prese di posizione diventano più caute, le promesse si fanno più vaghe.
A rendere ancora più evidente la contraddizione è il confronto con le dichiarazioni di altri leader europei. Macron e Scholz mantengono una linea di sostegno netto a Kiev, pur con differenze strategiche. Meloni invece ondeggia, e quell’incertezza rispecchia il suo approccio più generale alla politica estera: cercare di tenere insieme il blocco atlantista, rassicurare l’elettorato di destra più scettico e non scivolare in una crisi diplomatica che l’Italia non può permettersi.
Ma c’è un problema più profondo in questo continuo ricalibrare la realtà: la credibilità. Perché se oggi si può negare di aver mai parlato di vittoria ucraina, domani si potrà negare qualunque altra promessa. E in politica, quando il passato diventa un’opinione, il presente diventa un’incognita. E un’incognita, si sa, non governa a lungo.