L'Editoriale

Debiti pure sulla guerra che non c’è

Debiti pure sulla guerra che non c’è

Ci sono due momenti significativi da registrare nel paludato discorso della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ieri al Senato in vista del prossimo Consiglio europeo.

Il primo è lo sguardo torvo della presidente quando in Aula scattano sonori gli applausi dei senatori della Lega dopo che ha pronunciato, per ringraziarlo, il nome del ministro delle Finanze, Giorgetti. I leghisti esultano per aver costretto Meloni ad attorcigliarsi in un discorso che riesce nella mirabile impresa di non dire nulla: stiamo con von der Leyen, che chiede di armarsi contro Putin e contro Trump, ma stiamo anche con Trump, che lecca Putin. Tutto e il suo contrario. Il ministro ammicca, i leghisti esultano e a Meloni rode.

Il secondo è il perenne inganno che sta dietro la retorica della guerra. “Lascio quindi volentieri ad altri”, dice Meloni, “quella grossolana semplificazione secondo cui aumentare la spesa in sicurezza equivale a tagliare i servizi, la scuola, le infrastrutture, la sanità o il welfare”. La politica è molto più semplice di come si racconta: ha il dovere di decidere come spendere i soldi, siano prestiti o debito. Non è una semplificazione, anzi, è straordinariamente semplice: il debito che non si può fare per i lavoratori, per la sanità, per la scuola e per il welfare è stato concesso in un lampo per la guerra. Avere aperto un apposito capitolo di bilancio non rende quei soldi gratuiti.

Cara Meloni, la teniamo noi volentieri la “grossolana semplificazione”. È talmente lampante.