L’hotspot di Porto Empedocle è l’ennesima prova che il governo Meloni ha trasformato l’accoglienza in un simulacro, un’operazione di facciata che cela il vero obiettivo: respingere. Il rapporto del monitoraggio condotto da Asgi e Maldusa (pubblicato a febbraio 2025) lo documenta con precisione: Porto Empedocle non è un luogo di prima assistenza, ma un ingranaggio di un sistema detentivo e selettivo che ha poco a che fare con il rispetto dei diritti fondamentali.
Un’accoglienza che si traduce in detenzione
Il centro, gestito formalmente dalla Croce Rossa Italiana, funge da prolungamento dell’hotspot di Lampedusa. Le persone migranti vi transitano rapidamente, trasferite dopo procedure sommarie di identificazione. L’accesso al centro ha rivelato una realtà ben diversa dalle narrazioni ufficiali: l’hotspot è vuoto al momento della visita, ma è chiaro che quando operativo funziona come un meccanismo di smistamento rapido, dove le persone vengono etichettate e indirizzate verso destinazioni decise a monte. Per i richiedenti asilo, il percorso è quello del CAS o del SAI. Per chi viene considerato irregolare, invece, l’iter è la detenzione finalizzata all’espulsione.
Dal punto di vista formale, chi si trova nell’hotspot di Porto Empedocle può uscire dopo il foto-segnalamento. Ma nei fatti, molti non ne sono informati, altri si trovano in un’area isolata, senza reali alternative. Il trattenimento diventa così un fatto, anche quando non dovrebbe esserlo.
La fabbrica dei rimpatri
Il rapporto evidenzia un aspetto cruciale: ad agosto 2024 è stata creata una struttura interna all’hotspot destinata specificamente alla detenzione amministrativa, con una capienza di 50 posti. Questa struttura, affidata alla cooperativa sociale “Oltre il mare”, è separata dall’hotspot con doppie recinzioni e presenta una connotazione fortemente detentiva. Un vero e proprio CPR in miniatura, dove il telefono cellulare viene sequestrato e le comunicazioni con l’esterno sono ridotte al minimo.
Al momento del sopralluogo, la struttura ospitava 14 persone, tutte tunisine. La loro detenzione si basa su criteri arbitrari, come la provenienza da paesi considerati “sicuri” o la presunta strumentalità della richiesta d’asilo. La selezione delle persone da trattenere avviene con un metodo che sembra più vicino alla presunzione di colpevolezza che alla valutazione individuale. Il 90% delle convalide del trattenimento non regge in tribunale, ma il tempo passato in detenzione segna comunque i corpi e le vite.
La repressione che uccide
Uno degli episodi più drammatici riportati nel documento riguarda un uomo tunisino che, dopo 26 giorni di detenzione, è stato rimpatriato e si è tolto la vita in Tunisia. Il rapporto evidenzia che durante la sua permanenza in Italia aveva mostrato segni di grave disagio psichico, ma il suo fascicolo medico non è stato trasmesso. Non era un’eccezione: il sistema detentivo non si preoccupa della condizione individuale delle persone migranti, ma solo del loro status giuridico. L’obiettivo non è proteggere, ma espellere nel minor tempo possibile.
Un altro giovane tunisino, nei primi giorni del 2025, si è immolato nella città di Kairouan dopo essere stato rimpatriato. Il suo gesto estremo porta con sé il peso dello stigma sociale legato al ritorno forzato, ma anche la disperazione di chi ha visto svanire l’ultima possibilità di libertà. “Harqa”, in tunisino, significa “bruciare”, ed è la parola usata per indicare il viaggio clandestino verso l’Europa. Bruciare le frontiere, quando queste negano ogni prospettiva di vita.
La propaganda dell’ordine
Porto Empedocle è un tassello centrale della politica migratoria del governo Meloni. Il centro, insieme ai nuovi progetti di detenzione previsti ad Augusta e Trapani, rappresenta un esperimento che potrebbe estendersi ad altri punti di ingresso nel paese. Il modello è chiaro: trasformare ogni hotspot in un filtro securitario, accelerare i rimpatri, ridurre l’accesso alla protezione internazionale.
Nel frattempo, la propaganda dell’ordine continua a vendere il mito del controllo, mentre nel silenzio delle istituzioni e nell’indifferenza dei più, le persone migranti continuano a pagare il prezzo più alto. Con la loro libertà, con la loro salute, con la loro vita.