di Lapo Mazzei
Milleproroghe sia. Dopo un percorso accidentato e ricco di cadute, comprese quelle di stile, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto di fine anno, meglio conosciuto come “Milleproroghe”. La riunione nella sala grande di Palazzo Chigi è durata circa un’ora e mezza, segno che il dibattito fra i ministri è stato particolarmente serrato. Del resto gli scivoloni dei giorni scorsi, frutto anche degli interessi particolari di alcuni esponenti dell’esecutivo particolarmente sensibili alle ‘esigenze’ del proprio territorio, hanno lasciato sul terreno morti e feriti. A partire dal “pasticciaccio brutto”del Salva Roma: partorito come un aiuto di Stato alla Capitale, stravolto dall’assalto alla diligenza di deputati e senatori, stoppato infine alla viglia di Natale dal capo dello Stato.
Fisco e affitti d’oro
Una bocciatura senza se e senza ma, che ha spostato l’attenzione dell’esecutivo su questo provvedimento. Il presidente del Consiglio Enrico Letta, nel corso della conferenza stampa di presentazione del testo licenziato, ha chiarito che «il decreto è costruito con le proroghe essenziali, e accanto a questo si sono prese le norme essenziali del dl Salva Roma che abbiamo deciso di non portare a termine in Parlamento per l’eterogeneità che era venuta fuori». Tra queste, «la materia fiscale, che ha a che fare col bilancio di Roma, e gli affitti d’oro», ha spiegato Letta, rimandando per i dettagli alla pubblicazione del comunicato ufficiale. Insomma, il governo non controlla più l’attività del Parlamento. E i deputati, tanto di destra quanto di sinistra, consapevoli di questa situazione, sono pronti a tutto pur di assecondare le proprie esigenze elettorali. La sensazione, arrivati a questo punto, è che l’assalto al forziere sia stato solo rinviato.
Le opposizioni incalzano
Il premier ha precisato che il governo ha anche affrontato la ripartizione dei fondi strutturali europei «che rischiavano di non essere utilizzati per l’esercizio 2007-2013». Al di là del solito rosario di numeri e cifre, quello che lascia perplessi è l’ammissione di colpa da parte dell’esecutivo: questi soldi non li sappiamo spendere. Un fatto grave quanto l’assalto portato alle casse dello Stato dai parlamentari in fase di stesura del decreto Salva Roma, bloccato poi dal presidente della Repubblica. Per fortuna, viene da dire. Letta ha anche annunciato per il 2014 ulteriori interventi di contrasto alla povertà per 300 milioni che si aggiungono ai 500 già stanziati a questo fine. «Sull’occupazione – ha aggiunto – vengono allocati ulteriori 150 milioni di euro per la decontribuzione, in particolare, dell’occupazione giovanile, che si aggiungono agli 800 milioni di giugno. Un ulteriore intervento a favore della lotta alla disoccupazione giovanile nel 2014 e 2015». A questi annunci fanno da naturale contrappasso le dure critiche dell’opposizione e di una parte della maggioranza. «Il decreto, a partire dalle vicende di Roma, non può essere piegato a mille esigenze. Siamo certi della vigilanza del Quirinale» afferma il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri (FI), «ma siamo decisi a un serrato confronto parlamentare, che investe le procedure e la qualità della legislazione e che non potrà consentire confusioni, fughe in avanti, elargizioni di vario tipo e genere. Il governo ha dimostrato sul campo di aver esaurito la sua funzione. Ne prenda atto senza causare altri danni. In ogni caso noi faremo e diremo ciò che deve essere fatto e detto». Critiche anche dal Movimento 5 Stelle: «Come tanti altri interventi – afferma il deputato Giorgio Sorial – questo decreto è la dimostrazione del fallimento di questo governo perché ci vuole inserire tutto ciò che non è riuscito a inserire nel decreto Salva Roma e Napolitano si è svegliato tardi: sono mesi che denunciamo che i decreti omnibus non funzionano».
Manovre in corso
Dal fronte interno si leva la voce di Scelta Civica che attacca a testa bassa. Dopo aver annunciato che quella degli scorsi giorni sarebbe stata l’ultima fiducia “in bianco” assegnata al governo Letta, ora i “montiani” chiedono esplicitamente un rimpasto di governo. Nel Pd si cerca di non sollevare altre polemiche. Ma se di rimpasto non si fa parola, il portavoce Dem Lorenzo Guerini non la esclude a priori: «Dopo il patto di coalizione, starà alla responsabilità del premier, di concerto con le forze che sostengono la maggioranza, valutare l’ipotesi di riassetto della squadra di governo». A qualcuno andrà di traverso il cenone.