L'Editoriale

La guerra scambiata per pace

La guerra scambiata per pace

In principio fu la pace giusta. Senza pace giusta si deve continuare a combattere, dicevano dalle parti di Bruxelles. C’era un piccolo particolare, però: gli Stati dell’Unione non riescono a mettersi d’accordo nemmeno su quale combustibile usare per far marciare le proprie auto, figurarsi quanto fosse impossibile decidere cos’è giusto. La giustezza, come la giustizia, appartiene agli idealisti, ai probi, agli integri e ai virtuosi. Niente a che vedere con il pollaio europeo.

Poi, dalla pace giusta siamo passati alla pace duratura, una pace con garanzie di sicurezza. La pace duratura, ad oggi – come scritto nel piano di Trump che Zelensky si era detto pronto ad accettare – consiste nella cessione di territori militarmente conquistati dal satrapo Putin e nella cessione di territori prepotentemente rivendicati dal vessatore Trump.

Ursula von der Leyen, in uno scatto di indecente franchezza, ha quindi sostituito la parola “pace” con il sottotesto soffiato fino ad oggi: riarmo. Scritto chiaro e tondo, a prova di stolti. E non è un caso che Giorgia Meloni, a quanto dicono le cronache, si sia turbata per la schiettezza della sigla RiarmEurope. Dire ciò che si fa ormai è un’abitudine superata, soprattutto in tempi di guerra.

Ovviamente, è resuscitata anche la parola “sicurezza”: dopo aver fatto la guerra per ottenere la pace – missione fallita – ora ci armiamo per fare la pace. La pace costruita con il riarmo di 27 Paesi in ordine sparso. La polveriera europea è pronta.