La Sveglia

Per Trentini 77mila firme ma il caso resta nell’ombra

Per Trentini 77mila firme ma il caso resta nell’ombra

Alberto Trentini è ostaggio in Venezuela da oltre cento giorni. Chi ne parla? Qualche testata, qualche giornalista, una comunità che si è messa a digiunare per lui. Troppo poco. Trentini non è un avventuriero né un criminale. È un cooperante di Humanity & Inclusion, un’organizzazione umanitaria che assiste persone con disabilità. Il 15 novembre scorso, mentre viaggiava da Caracas a Guasdualito per portare aiuti, è stato arrestato a un posto di blocco e consegnato direttamente al controspionaggio militare di Maduro. Da allora è in carcere senza accuse formali. Non può comunicare con la sua famiglia, non riceve cure mediche. Neanche l’ambasciata italiana è riuscita a vederlo. Eppure, nel silenzio istituzionale, qualcosa si muove. 77.500 firme raccolte per chiedere la sua liberazione. Un digiuno a staffetta avviato dalla sua famiglia e dai suoi amici, con l’adesione della Chiesa veneziana.

Un flash mob organizzato da Articolo 21. La comunità si mobilita, le istituzioni assicurano che “tutti i canali sono attivati”. Ma nel frattempo Alberto resta prigioniero. A Roma, il governo dice di star facendo il possibile. Il sottosegretario Mantovano parla di una “situazione difficile”, di “equilibri delicati”. C’è da credere che le pressioni diplomatiche non siano facili. Ma viene da chiedersi perché ci siano prigionieri che diventano simboli nazionali e altri che restano fantasmi. Cecilia Sala, Chico Forti, Ilaria Salis: tutti hanno scatenato ondate di mobilitazione e polemiche. Per Alberto Trentini, invece, si va avanti a piccoli passi, nell’indifferenza generale. Forse non ha il volto “instagrammabile” giusto. Forse la sua storia non è abbastanza “spettacolare” per entrare nei talk show. Ma una cosa è certa: più la sua vicenda resta nell’ombra, più sarà difficile tirarlo fuori.