A Bruxelles, la tensione è palpabile. L’Europa si prepara a uno di quei vertici che possono finire con un nulla di fatto o con un accordo che segna la storia. Il piano “ReArm Europe”, voluto da Ursula von der Leyen per rilanciare la difesa europea dopo il disimpegno degli Usa, è già il campo di battaglia prima ancora che i leader si siedano al tavolo. Ottocento miliardi di euro in gioco, l’ombra di un’Ue che si scopre fragile senza la protezione americana e una coalizione di Stati pronta a opporsi.
L’opposizione ungherese: Orbán alla prova di forza
C’è un nome su cui tutti puntano quando si parla di veti: Viktor Orbán. L’Ungheria ha già bloccato aiuti all’Ucraina, ritardato pacchetti di sanzioni e ora minaccia di essere la mina vagante che affonda il piano di riarmo. Fonti diplomatiche raccontano di un Orbán che sta facendo muro su tutto: non vuole nuovi fondi per Kiev, non vuole che l’Ue prenda iniziative militari indipendenti e non vuole contribuire economicamente a uno sforzo che considera “non prioritario” per l’Ungheria. E potrebbe non essere solo.
Olanda e Germania: le riserve sui fondi comuni
Anche nei palazzi di Amsterdam e Berlino ci sono dubbi. Il nodo è sempre lo stesso: il finanziamento. L’Olanda si oppone fermamente all’idea di nuovo debito comune per la difesa, mentre la Germania è divisa al suo interno. Se il cancelliere designato Friedrich Merz ha parlato di “un’Europa a cinque minuti dalla mezzanotte”, evocando la necessità di un’accelerazione, altri dentro il governo tedesco temono che un impegno finanziario di questa portata sia difficile da far digerire agli elettori.
Italia: il paradosso tra governo e opposizione
L’Italia si muove su una linea ambigua. Fratelli d’Italia sostiene il piano, la Lega è contraria e Forza Italia si tiene nel mezzo. Ma è nel campo dell’opposizione che si registra la reazione più dura. Il Movimento 5 Stelle e l’Alleanza Verdi-Sinistra hanno definito il progetto una “follia bellicista” e annunciano battaglia in Parlamento. Elly Schlein, segretaria del Pd, boccia il piano parlando di “riarmo nazionale invece di una vera difesa comune”, mentre Carlo Calenda si distingue per un netto appoggio alla strategia di von der Leyen.
Il nodo dei fondi strutturali: la rivolta delle regioni
L’altro punto critico è il tentativo di finanziare parte del piano usando i fondi della coesione europea. L’idea è semplice: permettere agli Stati di destinare alle spese militari fondi che oggi servono per lo sviluppo regionale. Una prospettiva che ha scatenato la protesta di diverse regioni, soprattutto nell’Europa orientale, e che ha portato la presidente del Comitato delle Regioni, l’ungherese Kata Tütto, a definirla “un errore catastrofico”.
L’industria della difesa spinge per l’accordo
Dietro le quinte, i grandi produttori di armamenti fanno pressing su Bruxelles. Airbus, Leonardo, Thales e Rheinmetall hanno incrementato il budget per il lobbying di oltre il 40% in un anno. Gli investitori vogliono garanzie, le aziende cercano commesse e l’industria della difesa vede nel piano una svolta epocale per trasformare l’Ue in un attore strategico indipendente. Ma tutto passa dal vertice. E se un singolo veto basterebbe a far saltare il banco, le spaccature all’interno dei governi potrebbero rendere tutto ancora più imprevedibile. L’Europa è davvero a cinque minuti dalla mezzanotte. Il problema è capire se i leader si renderanno conto di essere loro a dover spegnere la luce o riaccendere il motore.