Nonostante il passare delle settimane e l’avvicinarsi della scadenza della tregua, i negoziati di pace tra Hamas e Israele non decollano. Anzi, sembrano ormai a un passo dal completo naufragio dopo che il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, ha dichiarato chiaramente che la condizione imprescindibile per procedere con la seconda fase del cessate il fuoco è “la completa demilitarizzazione dell’intera Striscia di Gaza”.
Com’è facilmente intuibile, si tratta di una richiesta a cui il gruppo terroristico palestinese non vuole e non può adeguarsi, poiché significherebbe decretare la fine di Hamas. A spiegarlo all’AFP è Sami Abu Zuhri, uno dei leader del movimento islamista palestinese, secondo cui “ogni discussione sulle armi della resistenza (a Israele) è un nonsenso. Le armi della resistenza sono una linea rossa per Hamas e tutti i gruppi di resistenza”.
Zuhri ha poi aggiunto che questa “è una questione non negoziabile” e che “ogni discussione sulla deportazione dei combattenti della resistenza o del nostro popolo è respinta”, lasciando intendere che con questa condizione insostenibile sia ormai evidente a tutti che il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, non abbia alcuna intenzione di arrivare a una pace definitiva e, anzi, non veda l’ora di “tornare a combattere”.
Per Gaza si mette male, Netanyahu chiede la smilitarizzazione della Striscia come prerequisito per negoziare la fase due del cessate il fuoco. Hamas rifiuta e accusa: “Sta sabotando l’accordo”
Un ritorno alle ostilità che, secondo Channel 12, non è solo un’eventualità, ma una quasi certezza. L’emittente televisiva riporta che le autorità di Tel Aviv prevedono di riprendere i combattimenti a Gaza entro dieci giorni, qualora non si raggiunga un accordo con Hamas, ipotesi sempre più improbabile.
Questa tempistica sarebbe collegata all’insediamento del nuovo capo di stato maggiore dell’esercito israeliano (IDF), Eyal Zamir, che entrerà in carica nei prossimi giorni. Secondo fonti dei media israeliani, l’esercito dello Stato ebraico ha già ripreso i preparativi militari, con le truppe pronte a entrare in azione. La situazione sembra dunque precipitare, riportando lo spettro della guerra in Medio Oriente.
Nel tentativo di scongiurare un nuovo conflitto, l’Egitto del presidente Abdel Fattah al-Sisi ha presentato un piano alternativo a quello degli Stati Uniti di Donald Trump, che prevede la deportazione dei palestinesi e il controllo diretto degli USA sulla Striscia di Gaza. Secondo quanto riportato da Sky News Arabia, la proposta del Cairo esclude espressamente il trasferimento forzato della popolazione e punta invece su “il mantenimento del cessate il fuoco”, accompagnato da una “governance transitoria e dalla garanzia di sicurezza per il territorio palestinese” tramite il dispiegamento di una forza di pace internazionale, preferibilmente sotto la guida delle Nazioni Unite.
Tuttavia, almeno per ora, questa soluzione non ha riscosso particolare interesse né da parte di Israele né da parte degli Stati Uniti.
Dopo lo stop agli aiuti umanitari, Israele valuta di tagliare l’energia elettrica a Gaza
Nel frattempo, la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza si fa sempre più critica. Dopo lo stop agli aiuti umanitari deciso da Netanyahu, che li considera “la principale fonte di reddito” per Hamas, il leader israeliano ha rilanciato minacciando ulteriori misure di pressione.
A spiegare quali potrebbero essere queste misure è stato Omer Dostri, portavoce del primo ministro israeliano, che alla Radio dell’Esercito ha dichiarato che Israele “non esclude di tagliare l’energia elettrica in tutta la Striscia di Gaza”.
Un provvedimento che ha immediatamente suscitato l’indignazione della comunità internazionale ma che, stando alle dichiarazioni dello stesso Dostri, avrebbe già ottenuto il benestare del presidente americano Donald Trump.
La sfida di Netanyahu e Trump all’Iran
Come se non bastasse, le tensioni in Medio Oriente sono ulteriormente alimentate dal crescente attrito tra Israele e Iran. Da giorni, a Teheran sono in corso preparativi militari per rispondere a un eventuale attacco condotto dall’IDF con il supporto americano, ritenuto dalle autorità iraniane “probabile”.
Difficile dire se si aprirà un nuovo fronte di guerra, ma la sensazione è che entrambe le parti cercheranno di evitarlo. Tuttavia, a far sorgere più di qualche dubbio è stata la recente dichiarazione del ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, che su X (ex Twitter) ha riferito di un “ottimo colloquio” avuto con il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth.
“L’ho ringraziato per il sostegno dell’amministrazione Trump nell’accelerare gli aiuti militari a Israele e per il suo incrollabile impegno per la sicurezza di Israele”, ha scritto Katz, riconoscendo “l’Iran come la più grande minaccia alla sicurezza regionale”. Ma non è tutto. Katz ha poi aggiunto che Israele e USA “lavoreranno insieme per impedire al regime di Teheran di dotarsi di armi nucleari”, sostenendo che per riuscirci non si può escludere il ricorso alle armi.