Un sistema sanitario che si sfalda lentamente, senza clamore, mentre la politica osserva e temporeggia. La Fondazione Gimbe lo certifica nero su bianco: mancano oltre 5.500 medici di famiglia, il 52% è sovraccarico di assistiti e in meno di tre anni 7.300 andranno in pensione. Nel frattempo, le nuove leve scarseggiano: il 15% delle borse di studio per la formazione in Medicina Generale è rimasto vacante nel 2024, con punte oltre il 40% in sei regioni. Il mestiere non attrae più, i giovani fuggono e il territorio si svuota.
Medici di famiglia, numeri impietosi
L’Italia invecchia. Gli over 65 sono più di 14 milioni, gli ultraottantenni sono triplicati negli ultimi quarant’anni e la popolazione continua a contrarsi. Nonostante questo, il numero dei medici di famiglia è in costante diminuzione: negli ultimi quattro anni ne sono spariti quasi 5.000, con un crollo del 39% in Sardegna e un calo generalizzato ovunque, tranne che nella provincia di Bolzano. Il problema non è solo numerico, ma anche organizzativo: oggi un medico di famiglia può avere fino a 1.800 pazienti, e in alcuni casi anche oltre 2.000.
Non è un dettaglio: significa che in intere regioni diventa impossibile trovare un medico di riferimento. In Lombardia, dove la situazione è più critica, il 74% dei medici ha superato il massimale di 1.500 pazienti, in Veneto siamo al 68%, in Emilia-Romagna al 57%. La regola di un medico ogni 1.200 abitanti non viene rispettata, e la politica ha trovato la solita soluzione burocratica: alzare il rapporto per mascherare il problema.
Una professione sempre meno attrattiva
Non è solo una questione di pensionamenti. Sempre meno giovani scelgono di diventare medici di famiglia. Nel 2024, il numero di candidati al concorso è stato inferiore ai posti disponibili, con un gap di 383 borse di studio non assegnate. Un crollo verticale che ha colpito soprattutto Marche (-68%), Molise (-67%), Lombardia (-45%) e Veneto (-41%).
Le ragioni sono evidenti: carichi di lavoro ingestibili, prospettive di carriera assenti, compensi inadeguati. La politica ha risposto come sempre all’italiana: innalzando l’età pensionabile a 72 anni, aumentando il massimale di assistiti e autorizzando i medici in formazione a prendere pazienti prima ancora di concludere il percorso di studi. Soluzioni d’emergenza che non risolvono il problema, ma lo spostano avanti di qualche anno.
Una riforma controversa
L’ultima idea del governo è trasformare i medici di famiglia in dipendenti del Servizio sanitario nazionale, inserendoli stabilmente nelle Case di comunità. Una rivoluzione, sulla carta. Peccato che nessuno abbia calcolato l’impatto economico, organizzativo e contributivo di una simile riforma. I diretti interessati, i medici, hanno appreso il tutto dai giornali, senza alcun confronto o studio preliminare. E senza un piano chiaro, si rischia di trasformare una professione già in crisi in una struttura ancora più ingessata e burocratizzata.
La Fondazione Gimbe non ha dubbi: manca una strategia strutturale. Non basta cambiare il contratto ai medici per risolvere il problema. Serve un ripensamento profondo del ruolo della medicina generale, che tenga conto delle nuove esigenze demografiche e sanitarie. L’attuale sistema non regge più, e la soluzione non può essere solo aumentare il carico di lavoro su chi è rimasto.
Il rischio: milioni di cittadini senza medici di famiglia
La medicina di famiglia è la prima barriera tra i cittadini e il Servizio sanitario nazionale. Se salta questo presidio, la pressione sugli ospedali diventa ingestibile. Non è un’ipotesi astratta: in molte aree del Paese trovare un medico è già un’impresa, mentre gli ospedali faticano a gestire patologie croniche e assistenza primaria.
Il problema è stato ignorato per anni e ora si manifesta in tutta la sua gravità. L’errore iniziale è stato sottovalutare il numero di pensionamenti, lasciando che il ricambio generazionale si spezzasse. Ma il fallimento più grande è stato rendere la professione di medico di famiglia così poco attrattiva da scoraggiare chiunque voglia intraprenderla.
Se non si interviene subito, il rischio concreto è quello di lasciare milioni di persone senza un medico di riferimento, con un crollo della qualità dell’assistenza. Il governo continua a parlare di riforma, ma senza una programmazione seria e senza coinvolgere chi lavora sul campo, ogni soluzione sarà solo un altro cerotto su una ferita che continua a sanguinare.