di Clemente Pistilli
Criticare pesantemente i magistrati si può. Soprattutto se quando arrivano le richieste di risarcimento danni ci si può fare scudo dell’immunità parlamentare e se poi, alle brutte, arriva anche qualche pasticcio da parte della Cassazione. E’ stato questo il caso del vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri. L’esponente di Forza Italia può stare tranquillo. Se a guastargli le festività natalizie è arrivato l’avviso di garanzia per peculato, relativo alla polizza stipulata con il denaro del gruppo parlamentare del Pdl, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso che metteva a rischio il suo portafogli e lasciato tre magistrati con un pugno di mosche in mano.
Camorra e veleni
Lo screzio tra Gasparri e tre magistrati che gli avevano chiesto i danni risale a quasi quattordici anni fa. I tempi della giustizia del resto non sono celeri e non c’è da stupirsi se la questione è, o sarebbe meglio dire era, ancora aperta. Un imputato, accusato di gravi episodi legati agli affari della camorra, anziché restare in carcere ottenne dal Tribunale del Riesame di Napoli gli arresti in una casa di cura. Secondo i giudici le condizioni di quell’uomo erano tali da non poterlo far stare dietro le sbarre. Dopo una settimana, l’imputato però evase dalla clinica e l’allora deputato Gasparri non risparmiò critiche al Tribunale della libertà campano. L’esponente del centrodestra rilasciò due interviste al settimanale Il Mattino, una il 18 e una il 19 marzo 2000. Nella prima definì irresponsabili i magistrati che avevano concesso all’imputato il beneficio e nella seconda sospettò che avessero addirittura tenuto un comportamento illecito. Per i giudici che avevano messo quell’uomo in clinica, Gian Paolo Cariello, Donato D’Auria e Giovanna Di Donna, quelle affermazioni erano davvero troppo.
Salvagente parlamentare
Secondo le tre toghe non era una semplice critica, ma una vera e propria diffamazione. I tre magistrati fecero così causa a Gasparri, chiedendo un risarcimento. A evitare un possibile salasso per l’onorevole pensò la Camera dei deputati, che il 27 febbraio 2001 ritenne quelle dichiarazioni insindacabili, affermazioni fatte da un deputato nell’esercizio delle sue funzioni. “Le affermazioni dell’onorevole Gasparri – sancì Montecitorio – si inseriscono nel contesto della perdurante polemica politica inerente i problemi della giustizia nel nostro Paese e, in tale contesto, al modus operandi della magistratura”. Niente processo e niente risarcimento. I tre giudici napoletani non si sono però arresi e hanno alla fine ottenuto una prima vittoria in Cassazione. La III sezione civile della Suprema Corte, affatto convinta che quelle dichiarazioni fatte dal vicepresidente del Senato fossero giustificate dalla sua attività parlamentare, ha sollevato un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e inviato il caso alla Corte Costituzionale.
L’ultimo aiuto
Finita la vicenda alla Consulta, il rischio di un salasso per l’attuale esponente di Forza Italia si è fatto concreto. Un errore fatto dalla stessa Cassazione ha però consentito al parlamentare di non doversi più curare di quella richiesta di risarcimento danni. I giudici costituzionali hanno infatti sostenuto che, per valutare se le affermazioni incriminate fossero o meno coperte da immunità, nel ricorso presentato i giudici della Corte di Cassazione avrebbero dovuto specificare quali dichiarazioni avesse esattamente fatto Gasparri sui tre giudici, ritenute da quest’ultimi diffamatorie. Mancando tale elemento e parlando di frasi considerate dalle tre toghe genericamente ingiuriose, la Consulta ha così dichiarato inammissibile il ricorso. I giudici non si sono dovuti neppure scomodare a decidere se lo scudo per il vicepresidente del Senato fosse legittimo. Per loro il ricorso era sbagliato e la vicenda chiusa. Per Gasparri un doppio salvagente.