Migranti, il protocollo Italia-Albania davanti alla Corte Europea. Entro giugno il verdetto sui “Paesi sicuri”. Intanto il Tai chiede la chiusura di Shengjin e Gjader

Aperto in Lussemburgo il dibattimento sul caso di due migranti del Bangladesh portati in Albania. Per il governo "non esistono Paesi sicuri"

Migranti, il protocollo Italia-Albania davanti alla Corte Europea. Entro giugno il verdetto sui “Paesi sicuri”. Intanto il Tai chiede la chiusura di Shengjin e Gjader

Il protocollo Italia-Albania è arrivato finalmente davanti alla Corte di Giustizia europea. Ieri infatti in Lussemburgo è iniziato il dibattimento (ma è solo il primo dei tanti ricorsi pendenti davanti ai giudici Ue, tutti provenienti da tribunali italiani) sul caso di due cittadini del Bangladesh che erano stati portati nel Cpr creato dall’Italia in Albania. Tutti procedimenti che vertono sullo stesso nodo giuridico (per questo il caso dei due bengalesi è considerato una “causa pilota”): il concetto di Paese di origine sicuro.

La vicenda

Il governo Meloni, grazie all’accordo tra Roma e Tirana, ratificato nel febbraio 2024, ha istituito in Albania, ma sotto giurisdizione italiana, un Cpr dove possono essere trattenuti i richiedenti protezione internazionale, ai quali può essere applicata una procedura accelerata di frontiera, riservata però solo a persone provenienti da Paesi considerati “sicuri”.

I due cittadini del Bangladesh, che erano stati i primi ad essere ripescati da mare e trasferiti in Albania, appena sbarcati avevano presentato la richiesta di protezione internazionale. La loro domanda era stata però respinta, perché giudicata infondata dalla Commissione territoriale di Roma, visto che il Bangladesh era stato riconosciuto “Paese sicuro” dal decreto interministeriale emanato nel maggio 2024 (atto poi sostituito a ottobre scorso da un decreto legge).

Così i due richiedenti asilo avevano fatto ricorso al Tribunale di Roma, il quale aveva chiesto alla Corte di Giustizia Ue di chiarire se sia compatibile con il diritto comunitario la normativa italiana in materia di designazione dei Paesi di origine sicura, sotto diversi profili.

L’avvocato dei migranti: “Tradita la certezza del diritto”

“L’Italia ha tradito i principi di certezza del diritto e di eguaglianza” ha sostenuto in aula l’avvocato dei due migranti, Dario Belluccio, che ha attaccato l’interpretazione di Roma del concetto di Paese sicuro. “Il pletorico elenco del governo italiano di 19 Stati qualificati come sicuri contro i 9 della Germania è la dimostrazione lampante della volontà dei governi di piegare i diritti di asilo alle logiche del diritto dell’immigrazione”, ha osservato l’avvocato, ricordando poi i “veementi attacchi subiti dai giudici italiani”, tesi anche “a mettere in discussione il primato del diritto dell’Unione” in fatto di migrazione.

Per il governo Meloni “non esiste un Paese sicuro per tutti”

La sicurezza di un Paese, ha invece osservato l’avvocato dello Stato, Lorenzo D’Ascia, non deve necessariamente “essere soddisfatta egualmente per tutti gli individui”. Per il governo italiano non esiste un “concetto di Paese sicuro in senso assoluto, privo di alcun margine di insicurezza personale”. È quindi ammissibile, ha sostenuto il legale, “che vi siano eccezioni al principio di sicurezza” che “possono riguardare anche categorie di persone”.

Per la Commissione possono esistere Paesi sicuri anche se con delle mancanze…

Una posizione vicina a quella espressa dall’avvocato dell’esecutivo Ue, Flavia Tomat: “La Commissione europea è disposta ad accettare che la direttiva 2013/32” sulle procedure d’asilo “consenta agli Stati membri di designare Paesi d’origine come sicuri”, anche “prevedendo delle eccezioni per categorie di persone”, ha spiegato. Per Bruxelles quindi le norme “non impediscono di designare un Paese d’origine come sicuro quando la sicurezza non è garantita” nel suo complesso “per determinate categorie di persone”, ha spiegato, precisando che questi gruppi devono comunque “essere ben identificabili”.

Il punto dirimente

E proprio se il concetto di “sicurezza” possa essere generalizzato ad un intero Paese, pur in presenza di sacche di insicurezza è uno dei punti dirimenti della vicenda. L’Egitto, per esempio, pur essendo stato incluso tra i “paesi sicuri”, non offre garanzie circa determinati gruppi sociali, come oppositori politici o omosessuali. e come classificarlo? Ed è proprio su  questo dovrà esprimersi la Corte.

Circa i tempi del giudizio, l’avvocato generale della Corte di Giustizia, Richard de la Tour presenterà il 10 aprile le proprie conclusioni, le quali però  non vincolano la Corte, che decide in autonomia. La sentenza della causa, che segue una procedura accelerata, potrebbe arrivare già a fine maggio-inizio giugno.  

Il Tavolo asilo e immigrazione (Tai): “Chiudere subito i centri albanesi”

E, mentre in Lussemburgo si dibatteva in aula, a Roma il Tavolo asilo e immigrazione (Tai) presentava un report sui centri albanesi, definiti “illegittimi e sbagliati sul piano etico, giuridico ed economico”. Nel rapporto “Oltre la frontiera”, realizzato nel corso di tre missioni di monitoraggio nelle strutture di Shengjin e Gjader, si denunciano numerosissime criticità.

“Le violazioni riscontrate sono numerose e sistematiche – si legge -: valutazione delle vulnerabilità assolutamente inadeguata; applicazione generalizzata delle procedure accelerate in frontiera, che comporta una torsione inaccettabile del diritto d’asilo e un indebolimento delle garanzie per i richiedenti protezione; trattenimento prolungato fin dalla ‘selezione’ in mare e impossibilità per le persone di esercitare il diritto alla difesa in condizioni adeguate, a causa dell’isolamento, della difficoltà di accesso a un’assistenza legale effettiva e della rapidità delle procedure che impediscono una consapevolezza del quadro giuridico entro il quale va collocata la domanda di protezione”. Per questo il Tai chiede di “fermare immediatamente i trasferimenti forzati e di chiudere i centri”.