C’è una contabilità che nessun leader europeo ha voglia di esibire. È quella che mostra come, nel 2024, l’Unione europea abbia speso più soldi per acquistare combustibili fossili dalla Russia di quanti ne abbia destinati all’Ucraina sotto forma di aiuti finanziari. Secondo il rapporto del Centre for Research on Energy and Clean Air (Crea), l’Europa ha versato nelle casse del Cremlino 21,9 miliardi di euro per petrolio e gas russi, mentre il supporto finanziario a Kyev si è fermato a 18,7 miliardi.
La sproporzione è evidente: la stessa Unione che sanziona Mosca e promette di sostenere l’Ucraina nella resistenza contro l’invasione continua a mantenere in piedi un flusso di denaro che, di fatto, alimenta la macchina bellica di Vladimir Putin. Una schizofrenia che va oltre la retorica della fermezza e mette a nudo il fallimento delle politiche energetiche europee.
Il doppio gioco dell’Europa
Tre anni di guerra e sedici pacchetti di sanzioni non sono bastati per recidere il cordone ombelicale che lega l’economia europea agli idrocarburi russi. Se è vero che il gas russo trasportato via gasdotto è crollato, è altrettanto vero che il mercato si è adattato. L’Europa ha compensato la riduzione degli acquisti con un aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto (GNL), trasportato via nave, spesso attraverso intermediari che mascherano l’origine russa del combustibile.
Secondo Jan-Eric Fähnrich di Rystad Energy, nel 2023 la Russia è stata il secondo maggiore fornitore di GNL per l’Europa. Un paradosso che si spiega con l’assenza di misure incisive contro questo commercio: mentre si vietano alcuni tipi di importazione, si lasciano aperti canali alternativi che garantiscono comunque introiti a Mosca.
Il rapporto di Crea denuncia anche la pratica delle cosiddette “navi fantasma”, una flotta di imbarcazioni vecchie e sottoassicurate che trasportano fino a un terzo del petrolio e del gas russo eludendo le sanzioni. L’Europa, incapace di frenare davvero il traffico, continua così a contribuire a un’economia di guerra che si regge per metà proprio sulle esportazioni energetiche.
Aiuti all’Ucraina: meno di quanto servirebbe
Se il denaro speso per il gas e il petrolio russo è quantificabile con precisione, quello destinato all’Ucraina è un numero più ambiguo. I 18,7 miliardi di euro conteggiati nel 2024 dal Kiel Institute for the World Economy riguardano solo il sostegno finanziario diretto, escludendo la spesa militare e gli aiuti umanitari. Ma anche contando tutto, il bilancio resta inferiore a quanto l’Europa ha garantito alla Russia in introiti energetici.
Christoph Trebesch, economista dell’IfW Kiel, ha evidenziato un altro dato scomodo: nel passato, i Paesi europei si sono mostrati più generosi in altri conflitti. La Germania, ad esempio, mobilitò aiuti molto più ingenti in tempi molto più rapidi per la liberazione del Kuwait nel 1990-91 rispetto a quanto ha fatto per l’Ucraina.
L’impressione è che la solidarietà europea abbia un prezzo e una scadenza: sostenere Kyev sì, ma non troppo. E soprattutto, senza mai davvero recidere i legami con Mosca, per evitare contraccolpi economici. Il risultato è un compromesso che non convince nessuno e che offre alla Russia un margine di respiro strategico.
Mosca incassa, l’Europa temporeggia
Secondo il report, nel 2024 la Russia ha incassato 242 miliardi di euro dall’export di combustibili fossili. Dal febbraio 2022, quando è iniziata l’invasione su larga scala dell’Ucraina, il totale si avvicina al trilione di euro. L’Europa continua a comprare, mentre il Cremlino trova nuovi escamotage per aggirare le sanzioni e mantenere intatte le sue entrate.
L’ultimo pacchetto di sanzioni varato dall’Unione europea ha tentato di colpire proprio le navi della flotta ombra, ma il problema di fondo resta: senza una vera chiusura dei mercati agli idrocarburi russi, il flusso di denaro verso Mosca non si interromperà. Crea stima che, con misure più incisive, si potrebbe ridurre del 20% il gettito energetico russo. Tra le soluzioni proposte c’è la chiusura della “scappatoia della raffinazione”, che permette all’Europa di importare petrolio russo trasformato in prodotti finiti in altri Paesi, e una restrizione più severa sulle forniture di gas attraverso il gasdotto TurkStream.
Ma la questione è squisitamente politica. Per ridurre gli introiti di Mosca servirebbe una volontà che oggi non c’è. Gli stessi leader europei che annunciano in pompa magna il loro sostegno all’Ucraina non possono permettersi il lusso di un crollo delle forniture energetiche. E così il gioco continua: Mosca combatte la guerra con i soldi degli stessi governi che dicono di volerla fermare.