La nuova America, a metà tra l’imperialismo e la plutocrazia e con rigurgiti neo-nazisti di ritorno, è riuscita a provocare un conato perfino a Jordan Bardella, delfino di Marine Le Pen e astro già nato dei Patrioti di Matteo Salvini e Viktor Orbán, di stanza a Bruxelles. Il saluto romano di Steve Bannon questa volta non è stato imputato a ridicoli fraintendimenti, dolori all’ascella o predisposizioni personali. È Bannon stesso a confermarlo ai microfoni dei giornalisti. “Ho fatto lo stesso gesto sette anni fa a un raduno di Marine Le Pen”, spiega.
Sette anni fa, però, c’era una differenza sostanziale rispetto ad oggi: l’accolita di nostalgici di una pagina nera della storia non era classe dirigente della prima potenza mondiale, Trump non aveva puntato una pistola alla tempia di Zelensky per scippargli il bottino di terre rare ucraine, Musk si limitava alle auto e ai razzi senza falcidiare le strutture democratiche americane. I neofascisti che si azzuffano tra loro scoperchiano il problema di Giorgia Meloni.
La strategia clauticante della cautela e dell’equidistanza ora è davanti a un bivio. Non si può stare con Zelensky e con Trump, non si può stare con Bruxelles e contemporaneamente con il raduno di estrema destra di Bannon e soci. La presidente del Consiglio dovrà assumersi la responsabilità di scoprire le carte sulla sua vera natura, con buona pace di tutti coloro che si sono spremuti per raccontarla come evoluta e principessa della diplomazia. E qualunque scelta Meloni dovesse fare non ne uscirebbe affatto bene. Stare con Trump rinnegando l’Europa o con Bruxelles voltando le spalle a Trump. Chi è causa dei suoi mali…