Elon Musk ha un problema con la verità, ma soprattutto con chi la racconta. Dopo che Community Notes, il sistema di fact-checking collaborativo di X, ha smentito le dichiarazioni false di Donald Trump su Volodymyr Zelensky, il magnate ha deciso che era il momento di “sistemarlo”. “Troppo influenzato dai governi e dai media tradizionali”, ha detto Musk, senza però fornire alcuna prova.
Il problema, per Musk, non è la manipolazione dell’informazione, ma chi la controlla. Da quando ha trasformato Twitter in un feudo personale, il miliardario ha smantellato progressivamente ogni barriera al dilagare di fake news e propaganda, premiando chi ha il portafoglio più gonfio con un algoritmo che amplifica i messaggi paganti. In questa logica, non sorprende che Musk si schieri dalla parte di Trump, reagendo con fastidio a qualsiasi tentativo di contraddirlo, specialmente quando si tratta di affermazioni su questioni geopolitiche controverse. Ma a quanto pare, i fatti non sono più un problema su X.
La storia non è nuova: Musk gioca con il potere e con la percezione della realtà, intervenendo sull’algoritmo per rendere virali i propri contenuti e oscurare quelli scomodi. Lo ha fatto dopo il Super Bowl, quando si è infuriato perché un tweet di Joe Biden aveva ricevuto più interazioni del suo. Lo ha fatto eliminando le protezioni contro la disinformazione climatica e sanitaria. Ora lo fa riscrivendo la narrativa della guerra in Ucraina.
X è diventato il megafono perfetto per una nuova generazione di oligarchi digitali, dove la libertà di espressione non è un diritto, ma una moneta di scambio. Musk ha capito che il controllo dell’informazione è più prezioso del controllo delle fabbriche. E sta agendo di conseguenza.