Il costo maggiore i pensionati l’hanno pagato nel 2024: il blocco della rivalutazione degli assegni voluto dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è costato 700 euro. Ma in generale negli ultimi dieci anni le pensioni italiane hanno subito, proprio per il blocco dell’adeguamento all’inflazione, una perdita “pesante, reale e permanente”, come sottolinea uno studio della Uil pensionati. L’erosione del potere d’acquisto va dagli oltre 2mila euro per chi percepiva, nel 2014, un assegno tra le quattro e le cinque volte il trattamento minimo (2.256 euro lordi) fino ai quasi 10mila euro (9.619) di chi ai tempi percepiva 3.500 euro lordi.
Secondo lo studio, una pensione lorda di 2.256,21 euro nel 2014, nel 2024 avrebbe dovuto toccare i 2.684,37 euro in caso di rivalutazione al 100%. Invece, per i diversi blocchi messi in campo dai governi è arrivata solamente a 2.615,40 euro. Quindi la differenza su base annuale è di 888,61 euro, con una perdita complessiva di 2.067 euro in dieci anni. La penalizzazione è maggiore se consideriamo una pensione iniziale di 3.500 euro lordi: in dieci anni la perdita è enorme, considerando che nel 2024 la flessione annuale è di 4.136,86, pari a 9.619 euro in dieci anni.
Il salasso per i pensionati
La Uilp offre poi qualche esempio concreto per dimostrare quanto il calo del potere d’acquisto si rifletta sulla vita quotidiana: nel 2014, con una pensione netta di 1.738,29 euro era possibile acquistare circa 1.931 caffè al bar. Nel 2024, con la rivalutazione a 2.002 euro netti, si scende a 1.668 caffè. Quindi 263 caffè in meno. O anche 23 chili di carne in meno rispetto a dieci anni fa. Come spiega il segretario generale della Uil pensionati, Carmelo Barbagallo, la perdita maggiore “riguarda gli anni 2023 e 2024 in cui l’inflazione era molto alta e il metodo di rivalutazione più severo, non per fasce ma per importi complessivi”.
Quindi i tagli più consistenti sono quelli operati dal governo Meloni. Nel 2023 la Uilp calcola una perdita (su una pensione iniziale di 2.256 euro) di 435,80 euro, mentre per il 2024 si sale a 723,04 euro annui. E proprio per questa ragione la Uil pensionati ha presentato “ricorso contro il taglio della rivalutazione del 2023”, anche se la Corte costituzionale si è appena espressa negativamente nei confronti di un ricorso simile. Questo studio, prosegue Barbagallo, dimostra “che il taglio della rivalutazione è un danno strutturale e permanente perché si ripercuote in tutti gli anni successivi in cui si riceverà la pensione. I pensionati per anni sono stati trattati come un bancomat”.