Il museo non è per tutti. Questo sembra suggerire l’Italia, che riesce a trasformare in un’abitudine d’élite perfino l’accesso alla cultura. Lorenzo Ruffino ci restituisce un quadro impietoso: nel 2022 solo il 18 per cento degli italiani ha visitato almeno un museo. In Francia sono il 32 per cento, in Spagna il 39. E non si può dare la colpa alla pandemia: anche nel 2015 e nel 2006 eravamo tra gli ultimi in Europa.
Chi va nei musei in Italia? Giovani e laureati. Tra i 16 e i 24 anni, il 31 per cento ha visitato almeno un museo, mentre oltre i 75 anni il dato precipita al 5 per cento. Non solo: chi ha una laurea va quattro volte di più nei musei rispetto a chi si è fermato alla terza media. Ma anche i laureati italiani sono meno assidui rispetto ai colleghi francesi e spagnoli. Da noi la distanza tra chi ha studiato e chi no è un fossato incolmabile.
Il problema non sono i musei. Il problema è chi ha raccontato la cultura come un peso, chi ha smantellato ogni incentivo all’educazione artistica, chi ha reso la fruizione culturale una questione di censo. La responsabilità è politica, di governi che hanno considerato la cultura un orpello, un vezzo per pochi, e non un diritto. E mentre altrove i musei investono in accessibilità, interattività e nuove forme di narrazione, qui si tagliano i fondi, si soffocano le iniziative, si accetta il declino come inevitabile.
Forse il problema non sono gli italiani che non vanno nei musei, ma chi li ha convinti che non ne valga la pena. Perché una cultura che non è sostenuta, non è cultura: è un bene svenduto al miglior offerente.