L’Unione europea si ritrova davanti a una scelta che avrebbe preferito non dover compiere. Con Donald Trump di nuovo alla Casa Bianca e con il consueto repertorio di minacce, dazi e disimpegni militari, Bruxelles deve decidere come reagire. Il problema non è solo economico. Il problema è che Trump non è prevedibile, e se l’Ue sbaglia la risposta rischia di finire schiacciata tra la sua necessità di sopravvivere e la volontà di Washington di dettare le regole del gioco. Il bivio, come lo raccontano diplomatici e funzionari, è netto: combattere Trump o cercare di compiacerlo.
La guerra commerciale è cominciata
Trump ha già avviato la sua offensiva: un ordine esecutivo ha imposto dazi del 25% su tutte le importazioni di acciaio e alluminio, senza eccezioni per l’Europa. Ursula von der Leyen ha risposto annunciando contromisure “ferme e proporzionate”, ma il dilemma resta. Alcuni Stati membri vogliono una reazione dura, con dazi punitivi contro prodotti americani, come si fece nel 2018 con Harley-Davidson e bourbon. Altri, consapevoli della fragilità del momento, preferirebbero evitare lo scontro frontale.
Non si tratta solo di alluminio e acciaio. Se Bruxelles decide di rispondere con durezza, Trump potrebbe colpire il settore automobilistico europeo, un nervo scoperto per Germania e Francia. E poi c’è la sicurezza: un’Europa che sfida troppo apertamente gli Stati Uniti rischia di vedersi ridimensionata la protezione Nato. Non è una minaccia teorica: Trump ha già dichiarato di voler ridurre l’impegno americano e lo ha dimostrato negli scorsi anni con pressioni per l’aumento delle spese militari europee.
Il dilemma del bastone e della carota
La Commissione europea sta valutando due strategie parallele. La prima è quella della deterrenza: rispondere colpo su colpo, mobilitare lo strumento anti-coercizione economica, colpire le big tech americane e le esportazioni più sensibili. La seconda è la diplomazia del “do ut des”: offrire a Trump quello che vuole per evitare una guerra commerciale. Nel 2018, l’ex presidente della Commissione Juncker riuscì a ottenere una tregua commerciale concedendo più importazioni di soia e gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti. Von der Leyen potrebbe replicare lo schema, magari offrendo concessioni sul mercato auto o sugli acquisti di gas americano per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia.
C’è però un punto che l’Europa non può permettersi di ignorare: Trump non è un interlocutore che rispetta gli accordi. Lo ha già dimostrato più volte. Il rischio è che Bruxelles faccia concessioni senza ottenere nulla in cambio, perché Trump sa che l’Europa ha più bisogno degli Stati Uniti di quanto gli Stati Uniti abbiano bisogno dell’Europa. Anche per questo molti leader europei insistono sul fatto che qualsiasi trattativa con Washington debba essere condotta da una posizione di forza.
La Nato e l’ombra di Putin
Un altro nodo cruciale è il destino della Nato e il rapporto con la Russia. Trump ha già fatto capire che il sostegno americano all’Ucraina non sarà scontato e che i paesi europei dovranno pagare di più per la loro difesa. Per l’Ue, il rischio è alto: se gli Stati Uniti si disimpegnano, la sicurezza europea vacilla. Zelensky lo ha detto chiaramente: “Ci sono voci che dicono che l’Europa potrebbe offrire garanzie di sicurezza senza gli americani, ma io continuo a dire di no”. La minaccia di una pace imposta a Kyiv senza il consenso dell’Ue è concreta. E in tutto questo, la Cina osserva. Se l’Europa e gli Stati Uniti entrano in una guerra commerciale, Pechino sarà la prima a beneficiarne.
L’Europa sa cosa fare?
Il problema di fondo è che l’Unione europea non ha una voce unica. Berlino e Parigi vogliono evitare un’escalation, Varsavia e i paesi baltici temono che cedere a Trump significhi compromettere la sicurezza del continente. Le diplomazie lavorano per mantenere aperti i canali, ma il tempo stringe. Il 12 marzo scattano i nuovi dazi americani. Se l’Europa non ha una risposta chiara, sarà Trump a scriverla per lei.