A destra il sindacato “buono”, la Cisl. A sinistra quelli “tossici”, Cgil e Uil. È la divisione fatta ieri dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, graditissima ospite dell’assemblea nazionale della Cisl a Roma. L’assise che ha salutato il segretario più filo-governativo degli ultimi anni, Luigi Sbarra, che da oggi lascerà il posto a Daniela Fumarola, attuale segretaria generale aggiunta. Un addio strappacuore, soprattutto per la premier, che perde un fidato “collaboratore”.
Da meloni parole al miele per Sbarra e tutta la Cisl
E ieri Giorgia non ha fatto nulla per nascondere il lutto: “Con Sbarra anche quando non siamo stati d’accordo, sapevamo che avevamo di fronte qualcuno a cui interessava il bene dei lavoratori, non semplicemente il bene dell’organizzazione che rappresentava, o addirittura il bene di una parte politica”, ha detto.
“Sbarra – ha aggiunto la premier – è stato un interlocutore franco, determinato, onesto. Quando Luigi dice ‘se l’Italia vuole guardare al presente e al futuro, allora deve lasciarsi alle spalle un Novecento caratterizzato da pregiudizi, antagonismo e furore ideologico’, non si tratta di una semplice enunciazione di principio. Lui lo ha fatto, io l’ho visto”.
Cgil e Uil sindacati “tossici”
Ma Meloni ha rivolto parole al miele a tutta la Cisl: “Noi abbiamo lavorato insieme sui problemi concreti dei cittadini e sono certa, ovviamente, che questa collaborazione continuerà anche con il prossimo segretario generale che eleggerete domani”. Quindi l’affondo contro gli altri confederali, i cattivi, perché “bisogna superare la tossica visione conflittuale che anche nel mondo del sindacato qualcuno si ostina a sostenere”.
La premier rilancia il falso mito della tassazione di banche e assicurazioni
Ma ieri Meloni, come suo solito, dal palco ha anche tenuto il solito comizio pro-governo. Tra i vari passaggi ha ricordato come l’esecutivo abbia tolto ai ricchi (banche e assicurazioni) per dare ai poveri: “Abbiamo nell’ultima legge di bilancio ampliato i benefici a circa 1,3 milioni di lavoratori con redditi tra i 35 e i 40mila euro annui e abbiamo ottenuto che fossero banche e assicurazioni a concorrere alla copertura di questi provvedimenti”, ha dichiarato Meloni (dimenticando che per i redditi bassi i “benefici” sono costati fino a 1000 euro), “Lo ricordo perché lo considero un netto cambio di passo rispetto ai tempi nei quali i proventi delle tasse dei lavoratori venivano utilizzati per sostenere banche e assicurazioni, senza che nessuno per questo invocasse la rivolta sociale”.
Avs “Meloni dice bugie”
Un cambio di passo negato immediatamente dalle opposizioni: “Meloni continua a distorcere i fatti per giustificare le sue scelte politiche. Oggi ha dichiarato di aver potenziato il taglio del cuneo fiscale e fatto pagare banche e assicurazioni, presentandolo come un cambio di passo rispetto al passato. La verità è un’altra. La tassa sulle banche di cui parla Meloni è, di fatto, una truffa”, attacca l’Avs, Angelo Bonelli, “Non esiste alcuna vera tassa sugli extraprofitti: si tratta solo di un’anticipazione di imposte che lo Stato dovrà restituire tra il 2027 e il 2029. In altre parole, il governo sta semplicemente spostando il peso fiscale sulle future generazioni, mentre nel presente continua a tagliare la spesa pubblica e i servizi essenziali”.
Magni: “La premier racconta un Paese che non c’è”
Per Tino Magni, presidente della commissione Lavoro del Senato, “la presidente del Consiglio come sempre preferisce fare comizi invece di dire cosa ha fatto il suo governo per il lavoro e i lavoratori. E non basta più dire che ha reso stabile il cuneo fiscale. L’economia va male, centinaia di migliaia di lavoratori rischiano il proprio posto di lavoro, decine e centinaia di aziende sono in crisi, aumentano le ore di cassa integrazione e da due anni la produzione industriale ha il segno meno davanti. Se questo non bastasse per dire che siamo in crisi i dati sull’occupazione, che la destra definisce storici, ci dicono che aumentano i lavoratori ma non le ore lavorate. E soprattutto gli stipendi dei lavoratori e delle lavoratrici sono i più bassi d’Europa ormai da molti anni. Occorrerebbe un cambio di strategia invece di raccontare un paese che non c’è”.
E l’opposizione insorge dopo l’ennesimo rinvio della legge sull’orario di lavoro
Cambio di passo che non sembra all’orizzonte, considerando che ieri l’esecutivo ha rinviato l’incontro sulla proposta di legge del Pd sulla settimana corta. “La riunione del comitato dei nove, che si sarebbe dovuta svolgere oggi pomeriggio (ieri, ndr) in commissione Lavoro per fare il punto sulla Pdl per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario presentata unitariamente dalle opposizioni, è stata però rinviata a domani mattina”, dichiarano i capigruppo della commissione Lavoro della Camera, Arturo Scotto (Pd), Valentina Barzotti (M5s) e Franco Mari (Avs).
“Dopo tre mesi dalla discussione generale in Aula, la maggioranza continua ancora a prendere e perdere tempo. Reputiamo inaccettabile questo atteggiamento. Molti Paesi nel mondo, in ultimo la Spagna, hanno già adottato tale misura che vede d’accordo la stragrande maggioranza degli italiani. Una cosa deve essere chiara a FdI, Lega e Fi: non accetteremo un ennesimo rinvio. Siamo pagati per votare le leggi, non per metterle su un binario morto com’è stato con il salario minimo e come, evidentemente, la maggioranza vuole fare anche questa volta”. Per fortuna di Meloni, ci sono i sindacati buoni con i quali confrontarsi…