Il Piano nazionale di ripresa e resilienza avrebbe dovuto rappresentare una svolta per i comuni italiani, un’occasione per rinnovare scuole, infrastrutture e servizi pubblici con fondi europei. E invece si sta rivelando, per molti enti locali, un boomerang. Tempi strettissimi, costi in crescita e vincoli burocratici stanno costringendo diverse amministrazioni a rinunciare ai progetti. Non per mancanza di visione, ma per l’impossibilità pratica di portarli a termine senza mettere in crisi i bilanci comunali.
Quando il Pnrr diventa un problema, non una soluzione
A Caravaggio, piccolo comune bergamasco, la giunta ha dovuto rinunciare a mezzo milione di euro per la costruzione di una mensa scolastica. Il sindaco Claudio Bolandrini ha spiegato a Pagella Politica che il finanziamento era insufficiente: i costi sono esplosi e la copertura offerta dal Pnrr non bastava. Inoltre, la clausola che obbliga a mantenere la destinazione d’uso degli edifici per almeno cinque anni avrebbe reso l’investimento un azzardo, dato il calo demografico della zona. Se tra pochi anni i bambini iscritti non saranno sufficienti per mantenere aperto il servizio mensa, il comune avrebbe comunque dovuto rispettare l’impegno preso, con il rischio di ritrovarsi con una struttura inutilizzata e una spesa insostenibile.
A Bozzolo, nel mantovano, la situazione è simile. Il sindaco Giuseppe Torchio ha dichiarato di aver dovuto rinunciare a 740mila euro destinati all’adeguamento sismico della scuola dell’infanzia. Il motivo? Il costo effettivo dei lavori è lievitato a tal punto da richiedere un investimento aggiuntivo che il comune non può permettersi. Intanto la denatalità continua a erodere il numero di iscritti: qualche anno fa c’erano sei sezioni scolastiche, ora sono rimaste solo una o due. La prospettiva di impegnare fondi pubblici in una struttura che potrebbe diventare sottoutilizzata è un lusso che le piccole amministrazioni non possono permettersi.
Poi ci sono i vincoli temporali. A Vanzago, alle porte di Milano, il comune ha chiesto lo stralcio dal Pnrr di un progetto ferroviario che prevede il raddoppio dei binari tra Rho e Parabiago. Un’opera attesa da trent’anni, inserita nei finanziamenti europei con la promessa di completamento entro il 2026. Ma i lavori sono bloccati da ricorsi e opposizioni, mentre il Tar ha annullato l’ordinanza che approvava il progetto. Il Consiglio di Stato ha poi sospeso la sentenza del Tar, riattivando l’iter. Il risultato? Un rimpallo che mette a rischio la realizzazione dell’opera nei tempi previsti. Nel frattempo, il progetto prevede l’abbattimento di alcune abitazioni senza che ci sia un piano chiaro per la ricollocazione delle famiglie coinvolte.
La realtà contro la propaganda: i sindaci lasciati soli
Ma secondo il governo, “tutto va bene”. I ministri, a partire da Tommaso Foti, ripetono che il Pnrr è un successo e che l’Italia è un modello di efficienza, mentre nei comuni i sindaci fanno i conti con un disastro amministrativo. Le criticità emergono tutte qui: vincoli rigidi pensati per garantire trasparenza e rapidità, ma che si scontrano con la realtà amministrativa e sociale dei territori. I costi aumentano, le condizioni economiche cambiano, la demografia ridisegna i bisogni. Ma il sistema non ammette deroghe e le amministrazioni locali si ritrovano davanti a una scelta obbligata: accettare fondi insufficienti e sobbarcarsi il rischio finanziario o rinunciare, evitando di esporre i bilanci comunali a buchi difficili da colmare.
C’è una sola via d’uscita per non perdere le opportunità del Pnrr: mettere in un cassetto la propaganda e dedicarsi all’amministrazione del progetto. Però in questa caso servono capacità di governo, mica di narrazione. Ed è tutta un’altra storia.