Le Lettere

Patto col diavolo

Quattro anni fa, nel febbraio 2021, i militari birmani arrestarono Aung San Suu Kiy, premio Nobel per la pace. Da allora di lei non si è più saputo nulla. Che fine ha fatto?
Lino Costante
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Gentile lettore, San Suu Kiy è stata condannata nel 2022 a cinque anni di carcere, ma l’anno scorso è stata trasferita, come altri prigionieri, agli arresti domiciliari, dai quali non può comunicare con nessuno. La sua storia è fatta di luci e di ombre. Fu la splendida e fragile eroina che si oppose alla dittatura militare. Pagò con 15 anni di arresti domiciliari, senza poter rivedere il marito inglese, che intanto moriva di cancro, e i figli che erano a Londra. Per il suo coraggio le fu conferito il Nobel. Nel 2010 i militari la liberarono e ripristinarono un filo di democrazia, conservando però poteri di veto sul governo. San Suu Kyi vinse le nuove elezioni e governò fino al 2021, sempre sotto la supervisione minacciosa dei militari. Vendette l’anima al diavolo nel 2017, quando l’esercito massacrò centinaia di migliaia di Rohingya, un’etnia di religione musulmana, e San Suu Kiy, stretta tra l’incudine e il martello, prese le parti dei militari: negò al mondo le stragi e difese crimini indifendibili. Come per il Dorian Grey di Oscar Wilde e per il Faust di Goethe, il patto col diavolo non le portò bene. I militari, di nuovo sospettosi per la sua rinnovata vittoria a valanga nelle elezioni del 2020, ricorsero a un nuovo putsch, arrestando lei e tutto il governo. Dopo un processo a porte chiuse e tre anni di prigione, è stata mandata agli arresti domiciliari. Oggi San Suu Kiy ha 80 anni, li compirà a giugno.

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