L’asse dell’impunità si ricompatta contro la Corte penale internazionale (Cpi). Donald Trump minaccia sanzioni, Viktor Orbán offre protezione ai ricercati, Vladimir Putin ridicolizza la questione. E il governo italiano? Sulla scia delle polemiche scatenate dal caso Almasri, si mette in scia.
L’offensiva globale contro la Cpi
L’offensiva si scatena quando la Cpi apre la possibilità di mandati di arresto contro esponenti israeliani per i crimini commessi a Gaza. Trump reagisce subito con il consueto disprezzo per le istituzioni internazionali: “Non permetteremo che Israele venga preso di mira da un tribunale illegittimo”. Un avvertimento che arriva accompagnato dalla minaccia di sanzioni contro chiunque osi mettersi di traverso.
In Europa, Viktor Orbán si affretta a garantire protezione a Netanyahu, invitandolo a Budapest e dichiarando che in Ungheria il mandato della Cpi non avrà alcun effetto. Un modo per confermare, ancora una volta, che lo Stato di diritto nel suo Paese è solo un fastidio da aggirare. Dal Cremlino, Putin e il suo entourage liquidano la questione definendo le decisioni della Cpi “irrilevanti”. Una dichiarazione ovvia, considerando che la Corte ha già spiccato un mandato di arresto nei confronti del presidente russo per crimini di guerra.
L’Italia sceglie il campo sbagliato
Nel mezzo di questa alleanza di negazionisti del diritto, si distingue l’Italia. Giorgia Meloni, con il solito equilibrio apparente, si accoda al fronte della delegittimazione della Cpi con un gioco di parole rodato: “Non ci può essere una equivalenza tra le responsabilità dello Stato di Israele e l’organizzazione terroristica Hamas”.
A rafforzare la linea interviene il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che derubrica le indagini della Corte sul caso Almasri a “un’inchiesta come tante”, come se il diritto internazionale fosse un esercizio accademico. Antonio Tajani, più diretto, propone addirittura di “aprire un’inchiesta sulla Corte penale internazionale”, sposando la retorica trumpiana che mira a ribaltare l’accusa contro chi la formula.
Così, l’Italia finisce ai margini delle istituzioni europee e internazionali, accanto ai governi che la giustizia internazionale la temono, la aggirano o la combattono. Trump non ha mai nascosto il suo disprezzo per la Cpi, considerandola un intralcio alle operazioni degli Stati Uniti che non a caso non hanno aderito al trattato che l’ha costituita. Orbán la vede come un fastidio nella sua strategia di protezione degli alleati politici. Putin ha tutto l’interesse a delegittimarla, perché su di lui pende già un mandato di arresto.
Se la collocazione internazionale si misura dalla compagnia che si sceglie, il governo Meloni ha fatto una scelta rivelatrice. Si è allineato a leader che attaccano la Cpi e che considerano la giustizia un ingranaggio politico controllabile. In Europa, l’alleato più prossimo è Orbán, che fa dell’impunità un pilastro della sua politica estera. Dall’altra parte dell’Atlantico, Trump punta a smantellare qualsiasi organismo che possa limitare il suo potere. Così come la Russia che non riconosce la Corte dell’Aja.
L’Italia, che per anni si è dichiarata baluardo del diritto internazionale, oggi si accoda ai governi che lo minano. Non per convinzione, ma per opportunismo. Se la destra italiana ha deciso di schierarsi con chi delegittima la giustizia internazionale, dovrebbe almeno avere il coraggio di ammetterlo. Nel frattempo il governo Meloni si è messo dalla parte sbagliata della storia.