Migranti e tratta di esseri umani: non servono gli scafisti, ci pensano i governi. Le testimonianze nel Rapporto State Trafficking

Un'indagine svela la filiera della tratta di Stato: governi, polizie e milizie gestiscono deportazioni, prigionie e vendite di esseri umani

Migranti e tratta di esseri umani: non servono gli scafisti, ci pensano i governi. Le testimonianze nel Rapporto State Trafficking

Giorgia Meloni aveva promesso di inseguire i trafficanti in tutto l’orbe terraqueo, di stanarli uno a uno nei loro covi. Missione compiuta: li abbiamo trovati. Non si nascondono in baracche fatiscenti lungo le coste, non si riuniscono in segreto al calar della notte. No, i trafficanti siedono dietro scrivanie istituzionali, firmano accordi internazionali, indossano divise ufficiali. E sono gli Stati.

Un rapporto appena pubblicato, “State Trafficking”, raccoglie trenta testimonianze di persone migranti espulse dalla Tunisia verso la Libia tra il giugno 2023 e il novembre 2024. Racconti che svelano una catena logistica di espulsioni e vendita di esseri umani, un meccanismo di brutalità istituzionalizzata perfezionato grazie agli accordi tra l’Unione europea e la Tunisia. Cinque fasi, sempre uguali: arresto, trasporto, detenzione nei campi di concentramento al confine, vendita alle milizie libiche, prigionia e tortura fino al pagamento del riscatto. È un sistema oliato con fondi europei, strutturato da governi che definiscono la Tunisia un “paese sicuro” e si sbracciano per dimostrare che il piano di contenimento delle migrazioni funziona.

La macchina della deportazione

Funziona, sì. Lo dicono i numeri: secondo il Forum tunisino per i diritti economici e sociali, nel 2023 e 2024 la Tunisia ha bloccato oltre 100.000 persone in fuga, più dell’80% provenienti dall’Africa subsahariana. Molte di queste non si trovano più. Il rapporto documenta arresti indiscriminati, con la polizia tunisina che rastrella persone nere per le strade, nei campi, ai posti di lavoro. Non importa se abbiano documenti regolari, se siano rifugiati o richiedenti asilo: il criterio è il colore della pelle. Poi il trasferimento forzato, ammassati su autobus blindati, percossi e umiliati, senza cibo né acqua per giorni. Le testimonianze parlano di abusi sessuali, torture, furti sistematici da parte delle forze dell’ordine. Poi la consegna alle milizie libiche, che gestiscono le prigioni in cui le persone vengono vendute come schiavi o rilasciate solo dietro pagamento di un riscatto.

Non si tratta di episodi isolati, non è l’eccezione di qualche agente corrotto. È un sistema. Un’infrastruttura di violenza gestita da governi che decidono chi ha il diritto di esistere e chi deve sparire. Un’industria della morte finanziata dall’Unione europea, che dal 2017 ha destinato alla Tunisia centinaia di milioni di euro per il controllo delle frontiere. Denaro che non finanzia lo sviluppo, ma l’espulsione e la repressione, che paga i mezzi e le armi per la caccia all’uomo, che trasforma in carne da profitto le persone migranti.

Ogni testimonianza raccolta nel rapporto è una smentita all’ipocrisia occidentale. La Tunisia è ancora un partner credibile? La Libia è una frontiera difendibile? La violenza sistematica è un effetto collaterale accettabile? Le risposte sono nei racconti di chi è stato venduto come una merce. Ed è una risposta che nessun governo vorrà ascoltare. Ma la verità è qui: non sono bande di scafisti a trafficare esseri umani. Sono gli Stati.

Complicità europea: il prezzo della sicurezza

E l’Europa, che finge di non vedere, è complice. L’accordo del luglio 2023 tra l’Unione europea e la Tunisia ha formalizzato il finanziamento alla repressione, garantendo soldi a un regime che usa i migranti come merce di scambio, vendendoli alle milizie libiche. Nulla di nuovo: già nel 2017 era stato firmato un patto con la Libia, finanziando un sistema di prigionie e torture. Ora si è solo perfezionata la filiera della violenza. I numeri parlano chiaro: tra il 2023 e il 2024, oltre 80.000 persone sono state catturate, deportate, vendute. Non serve chiamarla politica migratoria: è tratta di Stato.

Dietro la retorica della sicurezza si nasconde una strategia cinica, in cui il diritto internazionale è carta straccia. L’Unione europea sigilla le sue frontiere con il denaro, pagandosi la tranquillità con la pelle delle persone migranti. Gli Stati membri si lavano le mani mentre finanziano governi autoritari che trasformano esseri umani in merce. E i governi italiani, tutti di qualsiasi colore, hanno sempre applaudito.

Se la Tunisia è un “paese sicuro”, allora anche la Libia è un’oasi di diritti. Ma la realtà raccontata dal rapporto è un’altra: i migranti vengono venduti, picchiati, imprigionati, lasciati morire nel deserto. Le prigioni libiche sono veri e propri lager, dove la sopravvivenza è legata alla capacità di pagare un riscatto. È il costo della nostra “sicurezza”. Un costo pagato con vite umane.

Ora sappiamo chi sono i veri trafficanti di esseri umani. E siedono ai tavoli delle istituzioni.