Premier e indagata, non solo Meloni: Giorgia si crede un’eccezione, ma la lista è lunga

Meloni urla al complotto, ma la storia la smentisce: da Berlusconi a Craxi, la lista degli avvisi di garanzia è lunga

Premier e indagata, non solo Meloni: Giorgia si crede un’eccezione, ma la lista è lunga

Giorgia Meloni fa la vittima. Il copione è sempre lo stesso: gridare al complotto, lamentarsi di un trattamento ingiusto, evocare una persecuzione politica. Il tutto perché ha ricevuto un’iscrizione nel registro degli indagati, come se fosse un unicum nella storia della Repubblica. Peccato che non lo sia. I presidenti del Consiglio vengono indagati come tutti gli altri cittadini, e la lista di chi si è trovato nella stessa situazione è più lunga di quanto lei voglia far credere.

Una lunga lista di precedenti

Silvio Berlusconi, per esempio, di avvisi di garanzia ne ha collezionati a decine. Il più famoso arriva nel 1994, quando è ancora presidente del Consiglio. L’accusa è di corruzione della Guardia di Finanza. La notizia esplode mentre è a Napoli per il G7 e lo costringe a dimettersi. Non l’unico caso: seguiranno accuse di frode fiscale, concussione, prostituzione minorile. Ma forse Berlusconi è l’esempio, a proposito di presunto complottismo della magistratura, che torna comodo a Meloni. Andiamo avanti. 

Giuseppe Conte ha ricevuto un avviso di garanzia nel 2020 per la gestione della pandemia. Atto dovuto, si è detto, e infatti l’inchiesta è stata archiviata. Nessuna manifestazione di vittimismo, nessuna minaccia alle istituzioni. Ha lasciato lavorare la magistratura, senza alzare barricate.

Bettino Craxi fu travolto da Tangentopoli. Anche lui, presidente del Consiglio tra il 1983 e il 1987, si vide recapitare più di un avviso di garanzia. La differenza? Lui scelse la fuga, rifugiandosi in Tunisia per evitare il carcere. Ma almeno ebbe il coraggio di ammettere il sistema di finanziamenti illeciti che teneva in piedi la politica italiana.

Giulio Andreotti venne indagato per concorso esterno in associazione mafiosa nel 1993. Processo lungo, concluso con l’assoluzione per i fatti successivi al 1980 e con la prescrizione per quelli precedenti.

Matteo Renzi, nel 2021, ha ricevuto un avviso di garanzia per l’inchiesta sulla Fondazione Open. Ha difeso le sue ragioni nelle sedi opportune, ne è uscito assolto. Anche Romano Prodi ha avuto la sua parte: nel 1996 fu indagato per abuso d’ufficio per la privatizzazione dell’IRI. Caso archiviato, senza spettacolarizzazioni.

Gli avvisi di garanzia fanno parte del normale funzionamento della giustizia. Significano che una persona è indagata, non che sia colpevole. Meloni si atteggia a martire, ma forse dovrebbe rilassarsi: non è la prima presidente del Consiglio a essere indagata. E, con ogni probabilità, non sarà l’ultima.

La strategia della vittimizzazione

C’è una lunga tradizione di avvisi di garanzia nella politica italiana, e non ha mai impedito a nessuno di governare o di difendere le proprie posizioni. La differenza sta nella reazione: chi ha un profilo istituzionale degno di tale nome, affronta le inchieste con rispetto e fiducia nel sistema giudiziario. Chi invece costruisce la propria carriera sulla propaganda, trasforma ogni inchiesta in un’occasione per gridare al colpo di Stato. Ed ecco che Meloni, seguendo la strategia del “noi contro loro”, si presenta come vittima di un disegno politico che non esiste, provando a ribaltare il discorso e a trasformare un procedimento giudiziario in un’arma di consenso.

Ma i numeri non mentono. Dall’inizio della Seconda Repubblica, diversi presidenti del Consiglio hanno ricevuto avvisi di garanzia. Qualcuno ha scelto di difendersi nelle sedi opportune, altri hanno imboccato la strada del martirio e della vittimizzazione.  

Meloni potrebbe imparare la lezione, ma forse le conviene di più fingersi perseguitata. È il gioco preferito della destra italiana: trasformare i problemi giudiziari in battaglie ideologiche. Peccato che la legge e le indagini siano uguali per tutti. Anche per i presidenti del Consiglio.