Alla fine, la macchina della propaganda torna sempre utile. E non si può certo negare che, all’occorrenza, il governo Meloni sia abilissimo a manovrarla. Così, mentre si scopre che a gennaio di quest’anno gli sbarchi sono più che raddoppiati, con un balzo del 135% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ecco che scatta l’operazione di distrazione di massa degna dell’Istituto Luce.
E invece di parlare dei 3.074 migranti approdati sulle nostre coste in meno di un mese, a tenere banco sono i 49 disperati imbarcati su una nave della Marina Militare per essere spediti in Albania. Pazienza se, come peraltro già avvenuto, un giudice dovesse stabilire che anche stavolta quei trasferimenti non si potevano fare. Il rischio è calcolato: sarebbe un altro assist alla propaganda del governo, con la grancassa dei media amici al seguito, per accusare la magistratura di remare contro la volontà popolare per il solo fatto di disapplicare norme in contrasto con la legislazione e la giurisprudenza europee.
Del resto i sondaggi continuano a sorridere alla premier Giorgia Meloni e a Fratelli d’Italia. Ma il consenso e l’uso che se ne fa non sempre viaggiano sullo stesso binario. La vicenda Almasri, il capo della polizia giudiziaria libica, arrestato in Italia su ordine della Corte penale internazionale dell’Aja per una serie agghiacciante di crimini contro l’umanità ma poi rilasciato e rispedito in Libia su un Falcon dei nostri Servizi, è emblematica.
La premier Meloni ha archiviato il caso addossandone la responsabilità alla Corte d’Appello di Roma che ne ha deciso la scarcerazione. Omettendo, però, un passaggio chiave della decisione dei magistrati. Quello sul “ministro interessato da questo Ufficio in data 20 gennaio u.s. immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito”. Un’inerzia che non ha lasciato ai giudici altra scelta se non quella di ordinare “l’immediata scarcerazione” di Almasri.
Segue dalla prima
E ora che per quella vicenda la premier Meloni è stata indagata, insieme ai ministri Nordio, Piantedosi e al sottosegretario Mantovano, per favoreggiamento e peculato, riecco la propaganda: “Non sono ricattabile e non mi faccio intimidire”, ha tuonato la premier. Come se l’indagine, a seguito di una denuncia, non fosse un atto dovuto.
È il senso dello Stato nell’era sovranista: l’investitura popolare, peraltro opinabile in una Repubblica parlamentare, e il consenso prevalgono su tutto. Peccato non bastino per considerarsi al di sopra della legge. Almeno finché l’azione penale sarà obbligatoria, per il comune cittadino come per il capo del governo. Riforma sulla separazione delle carriere permettendo.