“L’Italia sta entrando in una nuova fase della sua storia che corrisponde a un inedito impoverimento del potenziale della forza lavoro” che si combina “con l’aumento della popolazione anziana nelle età tradizionalmente inattive. Se questa trasformazione non viene gestita con approccio nuovo e strumenti efficaci, il rischio è quello di un avvitamento verso il basso delle possibilità di sviluppo” e “di sostenibilità del sistema sociale”. Quello che avete appena letto è l’incipit di un rapporto del Cnel, dal titolo “Demografia e forza lavoro”, curato dal consigliere (e professore di demografia) Alessandro Rosina.
Un’analisi che affronta con dovizia di particolari, numeri e tabelle la crisi demografica dell’Italia e le conseguenze di ciò sugli equilibri – presenti e futuri – del mercato del lavoro. Le dinamiche negative della natalità, rileva Rosina, “hanno portato il nostro paese a diventare, nella prima metà degli Anni ’90 del secolo scorso, la prima nazione al mondo con il numero di residenti under 15 sceso sotto quello degli over 65. Quest’ultima fascia d’età ha oggi superato anche gli under 25 ed entro i prossimi quindici anni andrà a superare anche gli under 35”. Ne consegue che l’indice di dipendenza degli anziani, che misura quanti ultra 64enni ci sono ogni 100 adulti in età lavorativa, è destinato a passare dall’attuale 40% a circa il 66% nel 2070. Siccome più tale rapporto aumenta e più, nella bilancia demografica, il peso si sposta dal piatto dell’età in cui si fa crescere l’economia a quello dell’età in cui si assorbono risorse pubbliche per assistenza sanitaria e pensioni, le notizie sono tutt’altro che buone.
In soldoni: se non invertirà la rotta, l’Italia si troverà nel prossimo futuro in condizione di svantaggio competitivo con gli altri partner europei, mettendo un’ipoteca su crescita e sostenibilità del sistema di welfare pubblico. Uno spauracchio che non sembra intimorire maggioranza e governo, ma che invece dovrebbe. Al contrario, la Germania è il Paese in cui la discesa verso il basso della forza lavoro è peggiorata di meno fra il 2003 e il 2023 “grazie ad una inversione di tendenza delle nascite e a consistenti flussi migratori” annota il docente. Anche dal confronto con la Francia, che negli ultimi decenni ha registrato un tasso di fecondità totale prossimo ai due figli per donna (da 40 anni l’Italia si trova sotto 1,5), usciamo con le ossa rotte: se da una parte, a metà del XXI secolo, i 30enni rimarranno su valori consistenti, dall’altra ci una sarà riduzione di circa 1 milione di unità. Male, anzi malissimo