La Sveglia

Propaganda al capolinea, altro che addio alla Fornero

L’età pensionabile si allunga e con lei la distanza tra le promesse elettorali e la realtà dei fatti. Il governo Meloni aveva parlato di una riforma “equa”, ma ciò che resta è un sistema che spinge le persone a lavorare fino a 68 anni, rinviando quel diritto al riposo che dovrebbe essere garantito dopo una vita di contributi. Quota 103, presentata come una conquista, si è rivelata una stretta: nel 2024 le uscite anticipate sono crollate del 15,7% rispetto all’anno precedente, con numeri ben lontani dalle 333mila pensioni anticipate del 2020, quando era in vigore Quota 100.

Il monitoraggio dell’Inps racconta un Paese che si affatica: le pensioni di vecchiaia restano stabili, ma quelle di invalidità e ai superstiti calano in modo preoccupante, lasciando migliaia di famiglie in difficoltà. Per non parlare delle disparità di genere: le donne ricevono mediamente il 29% in meno rispetto agli uomini. Un divario che il governo non sembra avere alcuna intenzione di colmare, lasciando intatte le discriminazioni che il mercato del lavoro già amplifica.

E poi c’è l’adeguamento all’aspettativa di vita, ripristinato senza esitazione. Dal 2027 potrebbero servire 3 mensilità in più per lasciare il lavoro. Nel 2040 si andrà in pensione a 68 anni e nel 2051 a 70. Un’ipoteca sul futuro che trasforma la pensione in un miraggio, più che in un diritto.

Le scelte politiche sono chiare: risparmiare sulle spalle di chi lavora, scaricando i costi della crisi sui più deboli. Promettere è facile; mantenere, un’altra storia. E intanto, il diritto al futuro si allontana, anno dopo anno, promessa dopo promessa.